giovedì 19 novembre 2015

Le religioni incitano all'odio?


Da molti anni a questa parte mi ritengo ateo. O, meglio, come preferisco definirmi: diversamente religioso.
Trovo che la parola "ateo" di per sé non abbia molto senso. Non è una definizione; è un termine nato con accezioni dispregiative che significa "senza Dio". Definirsi tramite una non-definizione non mi sembra una cosa sensata.
Non credo in un Dio creatore dalle fattezze antropomorfe che si diverte a dettare le regole del paradiso e dell'inferno, dimenticandosi del mondo in carne e ossa.
Tuttavia, non rientro in quella categoria di "atei integralisti" alla Richard Dawkins che ritengono le religioni il male del mondo e che si divertono a estrarre passi violenti qua e là dai testi sacri per dimostrare la propria superiorità nei confronti dei credenti.
Al contrario, nutro una forte tensione spirituale nei confronti dei testi sacri, di ogni religione. Mi sono avvicinato a Cristianesimo, Ebraismo, Islam, Induismo, Taoismo, Buddhismo e Shintoismo (anche se le ultime richiederebbero un discorso a parte), leggendo i principali testi canonici e, nei limiti delle pubblicazioni presenti in Italia, i principali esegeti degli stessi.
Ritenere una qualsiasi religione come la causa dell'odio nel mondo rivela un fraintendimento del vero significato della religione e una cecità nei confronti della natura della psiche umana.
Odio e violenza esistono non a causa delle religioni; odio e violenza esistono perché esiste l'uomo. La loro comparsa è antecedente alla nascita delle religioni. La religione nasce, tra i molti altri motivi, proprio per arginare la violenza e migliorare l'uomo.
Tuttavia, così come l'energia atomica è diventata in poco tempo, nelle mani degli esseri umani, uno strumento di distruzione, il vero spirito della religione viene contaminato dall'odio che l'uomo si porta dentro, trasformando una via di ascesi spirituale in uno strumento di oppressione, violenza e fanatismo.
Dall'Antico testamento al Nuovo Testamento, dalla Bhagavadgita al Corano è possibile trovare atrocità di ogni tipo. Come accennavo in precedenza, chi discredita le religione tende a universalizzare tali passaggi e a renderli esemplificativi dell'intera morale religiosa in questione. Ma non è così.
Comparando i testi sopracitati è possibile constatare come le prescrizioni di vita pratica dettate dal Deuteronomio piuttosto che dalle Lettere di San Paolo, dalle Sure di Maometto o dai versi della Bhagavadgita non possono fare a meno di rispecchiare aspetti contingenti dettati dalla situazione storica del momento.
E' sbagliato rendere propria dell'intero Cristianesimo l'esortazione di San Paolo alle donne affinché siano sottomesse ai mariti; in tutte le culture del passato la donna si è sempre trovata in una condizione di disparità. La frase di San Paolo non rispecchia né più né meno che un antiquato pregiudizio antropologico.
Nel Corano così come nell'Antico Testamento si ritrovano innumerevoli descrizioni di guerre contro gli infedeli, di linciaggi, di odio verso il diverso. Come nel caso di San Paolo, queste descrizioni riflettono soltanto quella che è la natura umana, naturalmente portata a discriminare i membri dell'out-group, le persone che non avvertiamo simili a noi e che fanno parte di gruppi etnici o religiosi differenti. E, sottolineo, riflettono la natura umana, non la natura dell'esperienza religiosa.
E' per questo motivo che i testi sacri richiedono un attento lavoro di esegesi, per epurare il percorso spirituale e la morale tramandati dagli aspetti contingenti, orme inevitabili lasciate dal contesto storico in cui i testi sono stati scritti, ombre proiettate dal lato oscuro dell'anima umana.
Chi si limita al significato letterale di certi passaggi per screditare un intero libro non applica un modo di pensare diverso dai fanatici religiosi che, appunto, si limitano a interpretare letteralmente ogni verso per poi passare all'azione.
Messo da parte questo tipo di pregiudizio, non si può rimanere insensibili di fronte ai versi del Qoelet o di fronte all'elogio dell'amore Erotico e Spirituale del Cantico dei Cantaci; è impossibile non rimanere affascinati dalle narrazioni mitiche presenti nelle Sure del Corano e nell'Antico Testamento, senza cogliere da esse alcun insegnamento spirituale proficuo; non si può lasciare immutati i propri paradigmi di pensiero dopo aver letto i paradossi Taoisti o della mistica Sufi.
Effettuato, tramite un'adeguata esegesi, tale labur limae e raggiunto il nocciolo spirituale dei diversi insegnamenti religiosi, è impossibile non accorgersi del filo d'oro che lega tutte le professioni; un messaggio di pace, fratellanza e amore universale che circonda tutto il pianeta. L'idea di un ordine morale del cosmo che ci lega indissolubilmente al nostro prossimo, la consapevolezza che facendo del male all'altro stiamo, innanzitutto, facendo del male a noi stessi.

Daniele Palmieri

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