mercoledì 13 aprile 2016

Nietzsche: l'utilità e il danno della storia per la vita

Sull'utilità e il danno della storia, un titolo che non dà certo nell'occhio, che non possiede la medesima potenza evocativa di Così parlò Zarathustra ma che, ciò non di meno, nasconde grandi insegnamenti, come tutti gli scritti di Nietzsche (compresi quelli giovanili).
Il breve libello si presenta come una critica allo storicismo, la corrente dominante della filosofia tedesca otto-novecentesca, e ruota attorno alla domanda: in che misura abbiamo bisogno della storia?
Abbiamo bisogno della storia per la vita e per l’azione, non per ritirarci a studiarla come materia fine a se stessa, che non ha nulla da insegnarci.
L’animale vive in un momento non-storico, perché si dimentica subito del momento appena passato, al contrario dell’uomo. L’uomo si porta dietro ed è oppresso dal pesante carico del passato. A un certo punto però il passato deve essere dimenticato se non si vuole che esso diventi il nostro becchino, per vivere per un momento felici come l’animale. Se così non fosse, sanguineremmo ad ogni istante, oppressi dall'attimo appena passato. E così il non storico e lo storico sono entrambi necessari per la salute di un popolo. E’ vero, solo dallo storico nasce l’uomo, ma in un eccesso di storia l’uomo trova anche la sua fine.
Gli uomini storici credono che il flusso della storia sia un processo omogeneo la cui fase finale è il progresso dell’umanità e che la loro stessa esistenza abbia un senso poiché inserita in questo flusso storico. Si ricerca un flusso omogeneo in base alle esigenze, si manda la storia lì dove noi vogliamo che vada. Gli ultimi dieci anni di storia non possono insegnarci nulla di diverso. Passato e presente sono identici. La storia non potrà mai diventare scienza pura come la matematica.
Tuttavia, la storia serve all’uomo; ciò che non serve è l’eccesso della storia. La storia appartiene al vivente in tre sensi: per colui che agisce e per le sue aspirazioni, per colui che la osserva e la adora, per colui che soffre e ha bisogno di essere liberato.
A questi tre sensi corrispondono tre approcci, il monumentale, l’antiquario e il critico.
I primi sono tesi verso il futuro, sono gli uomini che creano nuova storia; la fama che acquisiscono non è il loro semplice e vanitoso ologramma, ma la fede nell’affinità e la continuità dei grandi di ogni tempo. Tuttavia, questa connessione non è tanto un flusso determinato, quanto un “effetto in sé”, un evento storico che trova la sua compiutezza e la sua grandezza in se stesso. Il problema sorge quanto questa storia monumentale, fatta di grandi azioni, diventa oggetto di venerazione, condizionando il giudizio dei posteri. Questo tipo di storia porta al fanatismo. E’ pericolosa se entra nelle mani degli uomini di potere e ancora di più se entra nelle mani degli uomini mediocri, che distruggeranno ogni senso artistico.
Il secondo tipo di storico è colui che si cura della storia da cui è venuto e che vuole a tutti i costi tramandarla ai posteri; l’anima di questo uomo si trasferisce nelle cose che conserva. La storia che tenta di conservare diventa la sua storia. Percepisce se stesso come spirito della propria città, della propria casa, crea un “noi” fittizio, un surrogato della sua personalità ed è convinto che la vita possa procedere solo permettendo a questo “noi” di continuare a vivere nella stessa immutabile realtà in cui lui è nato. L’antiquario ha l’orizzonte limitato, crede che il suo giardino sia il centro dell’universo, e se all’inizio la tradizione può vivificare la storia, a lungo andare la mummifica. E’ in grado di conservare la vita ma non di produrla. Paralizza la decisione, vanifica ogni sforzo e ogni energia tesa al futuro, concentrata com’è sul passato.
Di fianco a questo tipo di storia, c’è bisogno del terzo tipo di storico, quello critico. Questo deve distruggere il passato per poter vivere. Deve condurre il passato in tribunale, sottoporlo a un’inchiesta meticolosa e poi condannarlo. E’ un processo che nasce quando ci si accorge dell’ingiustizia e che la vita stessa è tutta un’ingiustizia. Tuttavia, questo passo è rischioso perché vuole costruire un nuovo passato da cui venire, e la cosa non è semplice.
La stessa Filosofia, secondo Nietzsche, si è indebolita a causa di questo approccio; non esiste più nessuno che vive filosoficamente, come gli stoici che aderivano alla Stoà, ma essa è diventata un terreno limitato dai paletti delle istituzioni.
Trattano neutralmente la filosofia così come trattano neutralmente la storia; ci si occupa di un filosofo in maniera arbitraria, si sceglie di studiare Democrito piuttosto che Socrate come se fosse del tutto indifferente, basta che se ne rispetti l’oggettività storica. Si snatura ogni tipo di impulso culturale, tolgono la vita alla filosofia vera, facendola diventare una voce dell’enciclopedia insieme alle altre. Questo eruditismo è in realtà un’impotenza della nostra epoca.
Nonostante il progresso, la nostra epoca è davvero più giusta e vera di quelle precedenti?
Ogni epoca ha sempre la superbia di ritenersi migliore di quella precedente, di ritenersi l’unica giusta, l’unica che possiede la verità e che tramite essa può criticare quelle passate.
Nel corso degli anni, gli uomini si sono sempre fatti ingannare dalla verità e dalla giustizia; spesso, il giudice che predica la verità è in realtà un fanatico.
La storia stessa, quando è scritta con oggettività, non si può dire che sia “vera”, poiché compito dello storico è quello di ricercare un nesso tra i fatti del passato che, per loro stessa essenza, sono impenetrabili.
La storia è un groviglio di causalità dove entrano in gioco migliaia di cause parallele ed è impossibile tracciare un decorso storico unitario, ancor più utopico riconoscere un decorso storico teso verso il futuro.
Il senso della storia non può trovarsi nella sua fine, bensì nel suo perpetuo e ciclico decorso; in questo senso, la storia è una sinfonia artistica, un’opera d’arte, non ha un senso morale intrinseco ma piuttosto un senso estetico.
L’epoca presente non può essere giudice di quella passata perché è arrivata dopo di essa, e un giudice deve sedere più in alto per giudicare un imputato. Soltanto compiendo una grande impresa storica si possono giudicare quelle passate; l’uguale per l’uguale. La storia la scrive chi è esperto e superiore. Chi non ha vissuto qualcosa di grande non potrà comprendere le grandi imprese del passato; il motto del passato è un motto oracolare, come quello dell’oracolo di Delfi, e soltanto interpretandolo correttamente è possibile costruire un futuro che ne sia all’altezza. Bisogna studiare le azioni dei grandi condottieri del passato, come gli eroi di cui narra Plutarco, per creare una cultura degna di questo nome.
Il giudizio storico fine a se stesso, che non sia costruttivo, distrugge le fondamenta e non fa nulla di positivo. Una religione ricostruita tramite la scienza storica viene snaturata, viene distrutta e svuotata di tutta la sua spiritualità, poiché vengono fuori tutte le azioni turpi e violente, mentre l’uomo di fede si nutre di amore e di speranza e con esse edifica il futuro.
La scienza storica così come è impostata accieca l’uomo; il giovane viene messo di fronte a centinaia di fatti storici in chiara luce di cui non può comprenderne lo spirito. Perde sempre di più il senso di stupore e alla fine ha perso ogni curiosità, è inattivo e apatico, non può costruire nulla di nuovo. E’ la morte della cultura.
Lo storico formatosi su questo tipo di nozionismo si sente completo già dalla giovinezza e quando diventa storico a tutti gli effetti è un supponente che si sente ancora più completo per aver criticato un certo capitoletto di un certo manuale, il tutto finché non si scade nella mediocrità più assoluta.
In questo modo si distrugge la scienza, che viene automatizzata. Con questo tipo di cultura storica gli uomini nascono già vecchi e si avvera la profezia di Erodoto secondo la quale l’ultima generazione di uomini nascerà già con i capelli grigi.
Con l’idea di un “ringiovanire” dell’umanità con il procedere del tempo non si fa altro che tramandare la visione teologica cristiana della storia, tesa verso un’apocalisse divina. Si guarda alla storia con la stessa reverenza clericale ed è come se si attendesse che il momento presente passi per trascriverlo su un libro di storia o, al massimo, per limitarne gli effetti.
Lo storicismo hegeliano ha reso la storia qualcosa di sacro e necessario; si vede l’epoca presente come il frutto tardo ma maturo di un processo universale, cadendo in un fanatismo storico e precludendo ogni altra forma d’arte.
Per di più, questo tipo di storicismo rende ciechi gli studiosi che giustificano ogni evento passato, trovando un cavillo come fossero avvocati. Ad esempio, si giustifica la morte dei grandi artisti dicendo che ormai avevano fatto il loro tempo.
Questi uomini sono tronfi d’orgoglio, credono di essere il vertice della storia, credono di aver raggiunto il traguardo della storia, di esserne il suo gioiello, addirittura di portare a compimento la natura.
Questo tipo di uomo non trova ideali per realizzare la propria vita, concentrato com’è su questo presunto processo storico necessario, e non compirà mai nulla di grande, appiattendosi al livello della massa che altro non è se non una lastra venuta male dei grandi uomini, uno strumento dei grandi uomini o un loro ostacolo.
Le cosiddette leggi storiche che rintracciano non sono nient’altro che l’opinione di questa massa di creta di alcun valore.
Purtroppo l’educazione dei giovani tedeschi si basa su questi presupposti e li sta rendendo non degli uomini ma degli eruditi buoni a nulla.
Per spezzare questa superstizione bisogna innanzitutto far cadere l’illusione della necessità di questo tipo di educazione, che indottrina il ragazzo ma non gli insegna a vivere. Meglio mandarli nei laboratori della natura piuttosto che in un museo. Dovrebbe valere l’ideale platonico della tripartizione delle caste. Questa è l’unica verità necessaria; chi è nato filosofo, ha oro nel suo corpo. Il motto della nuova generazione dovrebbe essere non cogito ergo sum, ma sum ergo cogito, vivo, quindi penso.
Il rimedio è l’individuo non storico e quello sovrastorico; il primo dimentica tutto il passato, il secondo sposta il suo interesse soltanto verso l’arte e la religione, che trapassano ogni era. La scienza vede in queste potenze forze avversarie, che vede in ogni cosa un fatto storico.

Bisogna seguire l’esempio dei greci che si trovarono in una situazione; colpiti da una serie di influssi di culture straniere, riuscirono a dare ordine a questo caos grazie al motto delfico “conosci te stesso”, tenendo solo il necessario e creando una cultura propria. Un cultura che era una voce unica tra vita, pensiero, apparire e volere.

Daniele Palmieri

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