sabato 15 aprile 2017

Aelredo di Rievaulx: L'amicizia spirituale

Aelredo di Rievaulx, vissuto tra il 1110 e il 1167, fu un un monaco anglosassone, abate dell'abbazia cistercense di Rievaulx. Personalità inquieta e carismatica, fu uno dei principali esponenti del cristianesimo anglosassone del XII secolo ed è passato alla storia come "dottore dell'amicizia". Tra i suoi testi più profondi vi è, infatti, un breve libello intitolato: L'amicizia spirituale.
Scritto sotto forma di dialogo, il libro, ispirato in parte al De amicitia di Cicerone, si suddivide in tre parti: la prima, dedicata alla natura e alla origine dell'amicizia, la seconda dedicata ai vantaggi e ai limiti dell'amicizia e la terza dedicata alla scelta degli amici e alla pratica dell'amicizia.
Il primo libro vede come protagonisti del dialogo Aelredo, che fungerà per tutto il testo da umile maestro, e il giovane Ivo, uno degli allievi prediletti del monaco cistercense che con lui condivide un intimo legame di affetto. Ivo, troppo timido per esporgli le sue domande sull'amicizia di fronte agli altri uditori, chiede ad Aelredo di appartasi in privato e nasce così una profonda discussione socratica "da anima ad anima" tra i due sulla vera natura dell'amicizia.
Inizialmente, Aelredo riprende l'antica definizione ciceroniana di amicizia, vista dal pensatore romano come "l'accordo pieno di benevolenza e carità, sulle cose umane e divine". Per quanto la definizione sia, secondo il maestro, corretta, occorre però precisarla ulteriormente e approfondirla secondo la nuova sensibilità cristiana. Ed è così che Aelredo si rifà alla etimologia stessa della parola "amico". Amico, dice il monaco, deriva da "amore", così come "amicizia" da "amico". E l'amore viene da lui definito come "un sentimento dell'anima razionale per cui essa, spinta dal desiderio, cerca qualcosa e brama di goderne, ne gode con una cera dolcezza e soavità interiore, abbraccia poi l'oggetto di questa ricerca, e conserva quello che ha trovato". L'amico è dunque "un custode dell'amore, o, come ha detto qualcuno, un custode dell'animo stesso, poiché come lo intendo io, deve essere il custode dell'amore vicendevole o meglio del mio stesso animo: deve conservare in un silenzio fedele tutti i segreti del mio animo; curare e tollerare, secondo le sue forze, quanto vi trova di imperfetto, gioire quando l'amico gioisce; soffrire quando soffre; sentire come proprio tutto ciò che è dell'amico". Sulla base di tale sensibilità comune, intima e più emotiva rispetto al rapporto razionale "inter pares" della sensibilità stoica antica: "L'amicizia è quella virtù che lega gli animi in un patto così forte di amore e di dolcezza che quelli che prima erano molti ora sono uno. [...] E' quanto lo stesso Salomone sembra dire nei Proverbi quando scrive: Chi è amico ama sempre, affermando così chiaramente che l'amicizia è eterna se è vera; se invece cessa di esistere, vuol dire che non è vera, anche se lo sembrava".
Un rapporto così intimo e profondo è essenziale per la vita, ed è per questo che bisogna scegliere gli amici con cura e soprattutto è per questo che bisogna stare attenti a non confondere taluni rapporti come rapporti di amicizia, quando in realtà sono tutt'altro. Quali sono queste forme di amicizia apparente da cui bisogna guardarsi?
Anzitutto Aelredo di Rievaulx mette Ivo in guardia dall'amicizia carnale, quella forma di legame che nasce da un'emotività che "come una prostituta, allarga le gambe davanti a tutti quelli che le passano accanto, seguendo il vagare di occhi e orecchi verso l'impurità". Si tratta di quei rapporti spinti dalla passione smodata che creano un circolo vizioso per il quale i due "amici" giustificano a vicenda le proprie azioni inique l'uno di fronte all'altro e finiscono per precipitare in un vortice di autodistruzione, che fa svanire il rapporto all'improvviso così come all'improvviso era nato.
Vi è poi l'amicizia mondana, quella delle anime frivole e superficiali che nasce dalla brama di beni terreni. In questo caso, l'unica cosa che accomuna i due presunti amici sono i beni posseduti e l'uno rivede nell'altro lo specchio delle proprie ricchezze. Ma nel momento in cui tali possedimenti vengono meno e, soprattutto, nel momento del bisogno, ecco che uno dei due amici svanisce, in cerca di un altro specchio sul quale riflettere la propria vanità.
A queste due forme illusorie di amicizia, Aelredo oppone l'amicizia autentica, l'amicizia spirituale: "L'amicizia spirituale, quella che noi chiamiamo vera, è desiderata e cercata non perché si intuisce un qualche guadagno di ordine terreno, non ha una causa che le rimanga esterna ma perché ha valore in se stessa, è voluta dal sentimento del cuore umano, così che il frutto e il premio che ne derivano altro non sono che l'amicizia stessa".
Il secondo dialogo è ambientato ad anni di distanza dal primo; i partecipanti, oltre ad Aelredo di Rievaulx, sono Graziano e Walter e il colloquio si apre con il dolce e malinconico ricordo di Ivo, passato a miglior vita tempo addietro ma ancora vivo nel cuore del monaco, a testimonianza di come nemmeno la morte possa porre una barriera alla vera amicizia. Come accennato in precedenza, il secondo libro è dedicato ai vantaggi e ai limiti dell'amicizia; termini, "vantaggio e limite", che non sono da intendersi nella loro accezione utilitaristica, estranea allo spirito di Aelredo. I vantaggi non sono i benefici economici e terreni che i due amici ricevono vicendevolmente, ma il beneficio spirituale che ogni amico tenta di donare all'altro, così come il limite è quel confine fatto di impegni, della fatica e degli affanni che necessariamente bisogna affrontare nei rapporti interpersonali, ma che è essenziale superare per donarsi completamente all'altro e dunque per innalzare la propria anima a un livello spirituale più profondo.
Scrive Aelredo: "Non è per niente saggio rifiutare l'amicizia per evitare sollecitudine e affanni e liberarsi dalla paura, quasi che ci sia una qualche virtù che possa essere acquistata e conservata senza fatica. [...] Ritengo che non siano uomini, ma bestie, quanti pensano che l'ideale sia vivere senza dover consolare nessuno, senza essere di peso o causa di dolore per alcuno; senza trarre gioia alcuna dal bene degli altri, né amareggiarli con i propri sbagli; stando bene attenti a non amare nessuno, e non curandosi di essere amati da qualuno". L'amicizia è fine a se stessa, dice ancora Aelredo, e proprio dai travagli che essa, a volte, ci porta ad affrontare possiamo trarre il nettare che rende dolce la nostra vita. "Da tutto quanto si è detto appare chiaro quali siano i confini certi e veri dell'amicizia spirituale: niente cioè si deve negare all'amico, niente si deve rifiutare di sopportare per l'amico in tutto ciò che è meno prezioso della vita del corpo, che l'autorità del signore ha stabilito si debba offrire per chi si ama".
Vi è, infine, l'ultimo dialogo, con i medesimi protagonisti del secondo. Esso si apre con la riflessione sull'origine ultima dell'amicizia e, più in generale, dell'amore. Esso nasce o dalla natura, o dal dovere, o dalla sola ragione, o dal sentimento o dalla ragione e dal sentimento insieme. Quest'ultima forma di amore è quella più profonda. L'amore che trae origine dal sentimento e dalla ragione (dal cuore e dalla testa diremmo oggi) è quella forma di amore che ci spinge ad amare qualcuno spinti dall'ammirazione delle sue virtù, le quali ci spingono ancora di più verso la persona amata per la gradevolezza del suo comportamento, dei suoi modi e per la dolcezza della sua ricca vitalità. Questa forma di amore è alle origini dell'amicizia e può essere raggiunto attraverso quattro gradini, che rappresentano allo stesso tempo le quattro discriminanti per trovare e scegliere i veri amici.
Il primo è la scelta: occorre scegliere persone che intuitivamente ci sembrano buone e con le quali condividiamo piacevolmente il nostro tempo; il secondo la prova: vi sono occasioni, soprattutto di conflitto o di sofferenza, che permettono di setacciare l'oro della vera amicizia dal resto. Se al primo litigio, al primo bisogno di aiuto o supporto la persona che ci sembrava nostra amica svanisce, allora non era degna di essere chiamata tale, se invece rimane al nostro fianco, ci supporta e tenta di riconciliarsi con noi, allora il germoglio della vera amicizia è sbocciato; il terzo l'accoglienza: aprirsi completamente all'amico e condividere con lui la nostra interiorità, per divenire con lui un solo cuore e una sola anima; il quarto, che sancisce definitivamente l'amicizia eterna, è "l'accordo sommo nelle cose divine e umane accompagnate da carità e benevolenza", la definizione di amicizia da cui l'intera discussione era partita.
Per concludere, L'amicizia spirituale di Aelredo di Rievaulx è uno dei testi sull'amicizia più profondi che abbia mai letto, sia per la profonda sensibilità che lo contraddistingue, sia per la minuziosa analisi di tutti gli aspetti di tale legame intimo, sia per l'apertura mentale del monaco cristiano che, certamente, si richiama sovente ai principi del cristianesimo, ma che è in grado di mettere in rilievo soprattutto il lato prettamente umano di tale rapporto.

L'amicizia spirituale, Aelredo di Rievaulx, Edizioni Paoline

Se questo articolo ti è piaciuto, dai un occhio alle mie pubblicazioni.

Daniele Palmieri

sabato 8 aprile 2017

Bernardo di Chiaravalle e i Templari. La Lode alla nuova milizia

Bernardo di Chiaravalle è stata una delle figure più poliedriche e attive del medioevo, dal punto di vista culturale, politico, filosofico e religioso. Monaco votato non solo alla vita contemplativa ma soprattutto a quella attiva, fu il primo a sdoganare il dogma della vita monastica di clausura e aprirsi al mondo laico, muovendosi per tutta Europa e fondando, insieme ai monaci del suo ordine, abbazie in Francia, Italia, Austria, Germania.
Famoso in tutta Europa, tanto da avere un grande influsso su Papi, politici e intellettuali, nelle correnti del pensiero esoterico Bernardo di Chiaravalle è conosciuto per essere la guida spirituale di uno degli ordini cavallereschi tanto famosi quanto misteriosi e incompresi: i Templari.
Siamo nel XII secolo, epoca travagliata che ha appena visto lo svolgersi della prima crociata e la riconquista di Gerusalemme da parte delle forze d'Occidente; una Gerusalemme che, tuttavia, era costretta nelle sue stesse mura, circondata da ogni dove dalle forze musulmane. E' il 1118 quando il cavaliere Hugo de Payns, insieme ad altri otto cavalieri, parte alla volta della Terra Santa, per fondare un nuovo ordine con lo scopo di difendere i pellegrini che si recavano nella città riconquistata. Baldovino II, re di Gerusalemme, ufficializza la loro missione e stabilisce la loro residenza nel luogo dove si dice sorgesse il Tempio di Salomone. Da qui il leggendario nome: Cavalieri del Tempio, Templari.
Nel 1128 arriva il riconoscimento ufficiale della Chiesa al termine del Concilio di Troyes, grazie anche alle pressioni di San Bernardo che aveva preso con grande entusiasmo la fondazione di questo nuovo Ordine, tanto da scrivere una missiva direttamente al fondatore, Ugo de Payns, nel 1135.
Nasce così il testo che è considerato la base teorica e spirituale dell'Ordine dei Templari, il De laude novae militiae: Lode alla nuova milizia.
La lettera si apre, paradossalmente, con una forte critica nei confronti della guerra e delle milizie. In un'Europa sconvolta da conflitti bellici di ogni tipo, Bernardo critica la Cavalleria e i principi di essere succubi della brama di denaro, di combattere non per la giustizia ma per l'arricchimento personale e per l'avidità. Allo stesso tempo, Bernardo critica l'atteggiamento con cui i Cavalieri profani affrontano il conflitto, di per sé già evento terribile.
Scrive Bernardo: "Tutte le volte che entrerai in combattimento, tu che fai parte della milizia profana, dovrai temere, mentre uccidi il tuo nemico nel corpo, di uccidere anche te stesso, nello spirito: o nel momento in cui sarai da lui ucciso, di esserlo nello stesso tempo nel corpo e nell'anima. Dai sentimenti del cuore e non dall'esito del combattimento si valuta il pericolo o la vittoria del cristiano. Se il motivo dello scontro sarà stato valido, il risultato della battaglia non potrà essere negativo; ma l'esito non potrà essere che cattivo, se la causa che lo aveva preceduto non era stata buona e l'intenzione non era stata giusta. Ma se avverrà che tu venga ucciso mentre volevi uccidere un altro, sarai morto come omicida. Nel caso invece che tu vinca e che, spinto dalla volontà di essere vittorioso o di vendetta, tu uccida il tuo avversario, vivrai da omicida".
Uccidere un'altra persona è sempre un evento funesto, e lo è anche in battaglia dove si è costretti a farlo se si è spinti dal desiderio di vendetta o dal piacere della vittoria. Cavalieri siffatti non hanno nulla di nobile; sulla loro anima è impresso il marchio di Caino.
Qual è, dunque, la grande novità introdotta dall'Ordine dei Templari? I Cavalieri Templari non nascono come milizia di conquista, non sono al servizio dell'avidità di un sovrano, non ricercano ricchezze né riconoscimenti, ma nascono esclusivamente per proteggere il prossimo. Quando sono costretti a uccidere un nemico, non possono essere chiamati assassini perché hanno vinto in partenza la più fondamentale delle battaglie: la battaglia con se stessi. In loro non alberga odio, bramosia, vendetta o timore. Non uccidono per piacere o per accrescere le loro ricchezze, ma esclusivamente per proteggere il prossimo e solo se non vi è altro modo per dirimere il conflitto. Scrive infatti Bernardo: "Ma certamente neppure i pagani dovrebbero essere uccisi, se in qualche altro modo fosse possibile impedire loro di opprimere eccessivamente e di sopprimere i fedeli". Ciò che i Templari compiono è definito da Bernardo un "malicidio", l'estirpazione del male dal mondo, quanto quello interiore quanto quello esteriore. La loro spada non deve portare la guerra, ma la pace, sia nell'animo sia in terra.
Per giungere a tale livello di consapevolezza e per estirpare il male anzitutto da se stessi occorre, però, un rigido tenore di vita, ed è in quest'ottica che rientrano le regole di vita monastiche e ascetiche dei cavalieri dell'ordine.
Essi "tengono in massimo conto l'obbedienza [...], vanno e vengono ad un cenno del loro superiore, indossano ciò che questi aveva loro assegnato, ed in nessun altro luogo si procurano cibo e abiti. Nel vestire e nel mangiare rifiutano tutto ciò che è superfluo, accontentandosi solo del necessario. Vivono interamente in comunità, comportandosi con gioia e sobrietà, senza moglie e senza figli. [...] per meglio aderire alla perfezione evangelica, tutti abitano nella medesima casa, adeguandosi ad un unico stile di vita, tutti solleciti a mantenere l'unità dello spirito nel vincolo della pace. Si direbbe che tutta la comunità è un cuore solo e un'anima sola [...]. In nessuna occasione si riposano in preda all'ozio o si muovono per soddisfare la loro curiosità; ma sempre, quando non combattono, per non mangiare immediatamente il pane, riparano i danni che presentano le armi, i vestiti, restaurano quello che è vecchio e mettono in ordine quello che è in disordine ed infine eseguono tutto quello che la volontà del Maestro o la necessità comune indicano che si debba fare. Tra loro non si fanno preferenze secondo la personalità; ci si affida al migliore e non al più nobile per nascita. [...] Mai eleganti ed acconciati, di rado lavati, si presentano piuttosto con i capelli trasandati o ispidi, sporchi di polvere, scuri di pelle per la corazza ed il calore intenso del sole. Nel prepararsi al momento del combattimento si armano interiormente con la fede ed esteriormente con il ferro, non con l'oro; in modo da incutere terrore ai nemici per le loro armi, piuttosto che provocarne l'avidità con l'abbigliamento. Vogliono avere cavalli forti e veloci, ma non con colori sgargianti con ricchi finimenti: poiché si preparano alla battaglia e non alla parata, alla vittoria, ma non alla gloria, impegnati più a incutere paura che ammirazione. Quindi si ordinano e si dispongono in schiere, non in modo caotico o impetuoso [...] ma con prudenza, pur tenendosi concentrati con riflessione e con ogni precauzione. [...] Affrontano il combattimento come veri Israeliti che amano la pace. Ma quando stanno per affrontare lo scontro, e solo allora, viene abbandonata ogni leggerezza e tranquillità [...] allora irrompono contro gli avversari, considerando i nemici come pecore e mai, anche se sono pochissimi, si lasciano intimorire dalla loro crudele barbaria o dal numero eccessivo. Per sperare nella vittoria hanno infatti imparato a tener conto non delle proprie forze, ma della potenza del Signore".
La tempra spirituale di questo Ordine Cavalleresco è del tutto nuova; mai fino ad allora erano esistiti dei guerrieri che lottavano con così tanta foga non per la gloria, per il denaro o per un principe ma per un ideale e per la salvezza del prossimo. Tant'è che lo stesso Bernardo, dopo questa poetica descrizione, arriva ad affermare: "Così, cosa degna di meraviglia ed unica, si vede che essi sono nello stesso tempo più miti degli agnelli e più feroci dei leoni, per cui non saprei se è preferibile definirli monaci oppure guerrieri; ma forse è opportuno chiamarli nell'uno e nell'altro modo, in quanto non manca loro né la mansuetudine del monaco, né la forza del guerriero".
A partire dall'approvazione di Bernardo, "luce della cristianità", fu così vasta la fama dei Templari che si creò un inedito sodalizio tra il loro ordine e la Cavalleria Musulmana, mossa in quel periodo da ideali del tutto simili. Come sottolinea Evola ne Il Mistero del Graal, infatti, anche nella tradizione esoterica musulmana si ritrova la medesima distinzione tra grande guerra santa (la guerra contro il male interiore) e la piccola guerra santa (guerra contro il male esteriore) e, da nemici, Templari e Musulmani si ritrovarono presto a specchiarsi gli uni negli ideali e nell'onore degli altri, tant'è che tali simpatie furono presto invise alle alte cariche politiche ed ecclesiastiche.
Alla rapida ascesa dell'Ordine seguì un declino altrettanto vertiginoso, che si concluse nel sangue con le feroci persecuzioni da parte di Filippo il Bello che, parallelamente, sancirono la fine dell'ideale di milizia sacra al servizio del prossimo in favore delle milizie laiche al servizio dei sovrani (e delle loro brame). E' certo, tuttavia, che il fascino suscitato da questo Ordine fu così grande che ancora oggi ne riecheggiano le gesta e i misteri.
San Bernardo - Lode alla nuova milizia, citazioni tratte dall'edizioni critica de Argonautiche Edizioni


Se questo articolo ti è piaciuto, dai un occhio alle mie pubblicazioni.

Daniele Palmieri