mercoledì 19 dicembre 2018

La massoneria spiegata dai suoi simboli

Oggi inauguriamo, sul blog, un argomento nuovo, sempre legato al mondo dell'esoterismo: la Massoneria. Lo facciamo con la recensione della nuova pubblicazione di Libraio Editore, casa editrice della Libreria Esoterica di Milano: La massoneria spiegata dai suoi simboli. Quaderni di simbologia muratoria.
La massoneria spiegata dai suoi simboli, come lo definisce Calogero Falcone nell'introduzione del testo, "si può considerare una sorta di catechismo per apprendisti che in maniera semplice è in grado di esplicare e rendere chiari i diversi precetti che stanno alla base del puro ideale massonico" (La massoneria spiegata dai suoi simboli. Quaderni di simbologia muratoria, Libraio Editore, p. 9).
Il testo nasce infatti come un'opera collettiva frutto di incontri, seminari e convegni tenuti dal Grande Oriente d'Italia durante gli anni '70 e sintetizza, in sei "quaderni", i principali elementi della simbologia, dell'ideale e del fine della massoneria.
Fulcro dei quaderni, come suggerisce il titolo, è la simbologia Massonica, poiché è attraverso il simbolo che essa compie il suo lavoro spirituale:



"Ogni simbolo, ogni strumento, ogni canone, sono supporti atti a catalizzare, a sorreggere, a coadiuvare il lavoro interiore" (La massoneria spiegata dai suoi simboli. Quaderni di simbologia muratoria, Libraio Editore, p. 15).


Ma cos'è la Massoneria? Spesso il termine, soprattutto in Italia, rimanda all'idea di poteri occulti che manovrano la società, a complotti politici, a rapporti di potere, a logge torbide, come la P2, volte a conquistare il controllo statale. Tuttavia, queste dinamiche prettamente umane sono aliene alla vera Massoneria, che nella sua pura sostanza é:

"Un'istituzione iniziatica che ignora la guida spirituale di un Maestro; non si fonda su alcuna dottrina, ma tutte le abbraccia; si propone come scuola tesa alla ricerca di una via illuminativa; in quanto compresa nella dinamica della vita e, quindi, nel suo continuo divenire, non pone paradigmi, assiomi, dogmi, ma esige soltanto sacrificio dei singoli componenti affinché questi si sforzino nella ricerca interiore alla scoperta di se stessi e alla costituzione di se stessi per compiere il lavoro di gruppo" (La massoneria spiegata dai suoi simboli. Quaderni di simbologia muratoria, Libraio Editore, p. 15)

Così come ideata e sviluppatasi tra XVIII e XIX secolo, la Massoneria è una congregazione iniziatica spirituale, volta allo sviluppo armonico dell'uomo; un'istituzione paritaria di stampo illuminista, mirata a sconfiggere il dogmatismo e le strutture interiori che ingabbiano e rendono schiavo l'uomo, sia politicamente sia spiritualmente. Benché, come vedremo in seguito, esistano gradi ed esista il "Maestro", la Massoneria non ha maestri poiché tutti, con il lavoro interiore, possono accedere ai gradi superiori e, soprattutto, poiché non esiste la figura di un unico direttore spirituale che impone agli altri una guida di pensiero. La Massoneria è un'istituzione in cui la conoscenza si ricerca e si raggiunge collettivamente, senza alcun vincolo di pensiero.
Per questo fulcro dell'attività della Massoneria è il Tempio. Ho già parlato dell'importanza spirituale del Tempio nel mio ultimo articolo, il Tempio Magico, luogo tanto simbolico quanto materiale in grado di catalizzare le energie volte allo sviluppo spirituale dell'uomo. 
Il Tempio è il luogo d'incontro e di ricerca collettiva, microcosmo che riporta all'unità le molteplici prospettive attraverso il lavoro di gruppo. Come si legge nel testo:

"I lavori Muratori svolti nel Tempio presuppongono un particolare stato di coscienza da parte di tutti i Fratelli partecipanti. Si tratta cioè di quello stato interiore a cui fa riferimento il Rituale con l'abbandono fuori dal Tempio dei metalli da parte dell'iniziando per significare il distacco dal mondo profano [...]. Il Tempio stesso è un simbolo o, meglio, il più complesso e importante tra i simboli muratori. E, pertanto, racchiude tutta una serie di significati operativi o sperimentabili, riferiti all'Uomo come ci ricorda l'imperativo apposto sul frontone: conosci te stesso. Il Tempio, in quanto luogo reso sacro dalla volontà e dall'operatività dei Fratelli, è la rappresentazione microcosmica del cosmo" (La massoneria spiegata dai suoi simboli. Quaderni di simbologia muratoria, Libraio Editore, p. 16).

Il lavoro spirituale avviene mediante i simboli muratori più noti, entrati nell'immaginario collettivo: la Squadra e il Compasso. L'uomo, architetto della propria esistenza, deve essere in grado di rendersi artefice del suo destino e della sua interiorità attraverso questi due strumenti complementari, che rappresentano la materia e lo spirito, l'energia lunare e solare, il principio attivo e il principio passivo:

"La squadra serve al Massone per squadrare la propria Pietra, cioè se stesso, dopo averne riconosciuto e misurato le qualità e proprietà di Pietra Grezza da trasformare in Pietra Cubica e perfettamente levigata. Questo strumento è il simbolo della materia (o forma) ed esprime il principio passivo (data anche la fissità dei due bracci), femminile, ricettivo, lunare. Il suo significato allegorico è "rettitudine nell'azione [...] Il Compasso serve a tracciare circonferenze e a prendere e a riportare misure. Questo strumento è il simbolo dello spirito (o sostanza) e quindi della possibilità di condizionare la materia (o forma), ed esprime i principio attivo (data anche la mobilità delle due aste articolate dalla noce), maschile, solare. Il suo significato allegorico è "misura nella ricerca", ma può rappresentare altresì l'ampiezza del pensiero, dall'apertura mentale" (La massoneria spiegata dai suoi simboli. Quaderni di simbologia muratoria, Libraio Editore, p. 127-128).

Squadra e compasso consentono all'Uomo di rifinire, attraverso le linee rette della razionalità e le linee sinuose dello spirito, le tre componenti che lo formano, e che corrispondono ai tre gradi principali della Massoneria, del tutto affini alla tripartizione dell'anima secondo la tradizione aristotelica/occidentale che ho analizzato in Pratiche di contemplazione.
Anzitutto la componente fisica: l'essenza materiale, vitale, razionale, che ha a che fare con la realtà terrena, quotidiana e circostante e che corrisponde al grado di Apprendista. Lavorando su questo grado, l'iniziando "deve tendere alla realizzazione (padronanza) sul piano fisico, con assunzione di un atteggiamento di carattere positivo-attivo, con riferimento preponderante all'elemento Fuoco [...]. Si tratta cioè di incanalare lo slancio entusiastico, il desiderio, il volere, il sacro fuoco del Neo-iniziati [...] alla conquista del Silenzio, nella ricerca razionale e nella profondità dell'osservazione, nell'apertura all'interiorità e nel cominciamento di quel sentiero di rettitudine e di elevazione che è il solo mezzo per rendere reale l'Iniziazione virtuale" (La massoneria spiegata dai suoi simboli. Quaderni di simbologia muratoria, Libraio Editore, p. 36).
La seconda componente è quella animica, a cui corrispondono cinque sensi, sentimenti, emozioni, psiche, fantasia, immaginazione, ossia gli elementi interiori che liberano l'uomo da ciò che è prettamente materiale e che lo indirizzano verso un'esistenza fenomenica "virtuale", mentale e interiore. A questo livello è collegato il grado di Compagno e il lavoro corrispondente "deve tendere alla realizzazione (padronanza) sul piano animico, con assunzione di un atteggiamento di carattere negativo-ricettivo, con riferimento preponderante all'elemento Acqua [...]. Si tratta cioè di indagare sempre più in se stessi, di dominare la psiche e gli autocondizionamenti del carattere e della personalità, di verificare le proprie capacità sensoriali, di vincere le emozioni e le suggestioni, di superare la fantasia nei suoi aspetti ombra e di irrealtà per attingere all'immaginazione e aprirsi alla dimensione artistica e all'archetipo della bellezza" (La massoneria spiegata dai suoi simboli. Quaderni di simbologia muratoria, Libraio Editore, p. 36).
Ultima componente è quella spirituale, a cui corrispondono intelletto, mente, astrazione, intuizione e tutte le idee metafisiche slegate alla sensibilità e al mondo materiale. Il grado corrispondente è quello di Maestro e il Lavoro "deve tendere alla realizzazione (padronanza) sul piano spirituale, con assunzione di un atteggiamento di carattere equilibrante, con riferimento preponderante all'elemento Aria [...]. Si tratta cioè di dominare la mente, di conquistare la più difficile libertà, quella interiore, agli idola e dalle incrostazioni dottrinarie, di acquisire tutto il sapere saputo per giungere alla Conoscenza, nonché di aprirsi all'intuizione della Legge che è dentro e fuori di noi, e purificati, proseguire alla concretizzazione degli ideali a cui aspiriamo" (La massoneria spiegata dai suoi simboli. Quaderni di simbologia muratoria, Libraio Editore, p. 36-37).

Questi sono solo alcuni dei simboli sviscerati ne La massoneria spiegata dai suoi simboli, testo arricchito inoltre da numerose illustrazioni e preziosi dettagli sugli strumenti rituali, il vestiario e le principali caratteristiche fisiche e metaforiche del Tempio massonico.
Consiglio vivamente la lettura del testo integrale, poiché sfogliandone le pagine ci si sente come un ricercatore curioso che, dallo spioncino di una porta, scruta di nascosto quanto avviene in una Loggia Massonica, cogliendo scorci di verità. Questo fascino "proibito" destinerà La massoneria spiegata dai suoi simboli a divenire uno dei grandi classici del pensiero massonico.

La massoneria spiegata dai suoi simboli. Quaderni di simbologia muratoria, Libraio Editore

Daniele Palmieri

venerdì 14 dicembre 2018

Il Tempio magico. L'edificazione del sacro spazio interiore

L'essere umano, fin dalla sua origine, ha sempre riconosciuto l'esistenza di luoghi dotati di energie particolari, in grado cioè di risvegliare forze latenti nel proprio animo. In principio furono luoghi naturali; grotte o caverne inaccessibili, consacrate attraverso simboli, incisioni, dipinti; colline, vette e montagne, le cui alture risvegliano l'idea di una vicinanza tanto fisica quanto spirituale con la divinità; fonti sorgive, foreste e boschi vibranti di mistero, in cui l'individualità sembra dissolversi. Il passaggio successivo fu quello di catalizzare tali energie e di edificare luoghi in grado di risvegliare, con la potenza del simbolo, le medesime energie divine. Nacquero così i primi templi naturalistici: i dolmen, i menhir, gli allineamenti di pietre e le strutture megalitiche, una delle espressioni più pure del sentimento del divino e luoghi ancora oggi dotati di una forza indescrivibile, che esula la semplice rilevazione empirica.
L'evoluzione dei simboli interiori dell'uomo, nonché la manifestazione di forme religiose sempre più complesse e l'affinamento delle abilità tecniche/manuali, porterà l'essere umano a creare strutture sacre via via più sofisticate. Nasce così il Tempio  Sacro, costruito secondo precisi simboli, geometrie, funzioni cerimoniali. 
Nonostante la diversa "edificazione" dei casi citati in precedenza, tutti sono accomunati dallo stesso filo conduttore: l'energia sacra che questi luoghi sono in grado di evocare dalle profondità più recondite dell'animo umano. E questo perché il Tempio Sacro, o il Tempio Magico, è anzitutto un luogo interiore, come analizza Michel Kearton ne Il Tempio Magico, edito da Hermes Edizioni.
Il Tempio è un luogo, una dimensione dell'interiorità, che nasce anzitutto come condizione spirituale e che soltanto in seguito viene incarnato o riflesso in un luogo fisico. Questo perché il simbolo è per l'uomo un vero e proprio portale, in grado di connetterlo con una dimensione che va al di là della sensazione sensibile, permettendogli così di trovare lo slancio per tendere alla dimensione spirituale. Come scrive Kearton:
"Queste associazioni sono veicoli di luce e di energia [...]. Questa forza rivitalizzante deriva dalle profondità, dalle scaturigini del nostro essere. [...] essa non venne creata dalle circostanze delle sue manifestazioni ma fluì in risposta a esse. [...] Si tratta della forza vitale fondamentale che scorre dal pennello del pittore o dalla voce del cantante. E' la stessa forza che solleva il mistico alle altezze dell'illuminazione e ispira il pioniere alla ricerca di nuove terre, malgrado tutti gli ostacoli. Possiamo così comprendere che nessuno è privo di un punto di contatto con questa energia vitale che tutto pervade, per quanto piccolo o insignificante" (Il Tempio Magico, Michel Kearton, Hermes Edizioni, p.10).

L'edificazione del Tempio magico nasce dalla volontà di agire attivamente sulla realtà, di rendere reale la tensione spirituale che avvertiamo nel nostro animo e per avere un luogo in obliarsi dall'esistenza quotidiana, per recuperare le energie dalla fonte stessa dell'essere e, come scrive Kearton: 

"Costruiamo un tempio per impiegarlo come pietra di partenza per le nostre imprese spirituali" (Il Tempio Magico, Michel Kearton, Hermes Edizioni, p.12)

Il tempio è il baricentro interiore, quanto fisico quanto spirituale. Ricettacolo delle forze dell'intero cosmo, esso è l'axis mundi che attraversa tutti i piani di esistenza, l'ombelico del mondo che ha assunto molteplici rappresentazioni fisiche e simboliche nelle diverse tradizioni: l'albero della vita, l'Eden, Gerusalemme, l'Olimpo, l'Isola dei Beati, Atlantide, Shambala/Agartha, il Tempio di Salomone; tutti luoghi spirituali ma da una rappresentazione simbolica così precisa e potente da diventare reali, luoghi di energia spirituale in cui è sempre possibile ritirarsi con l'animo e che si è sempre cercato di trasformare in entità fisiche attraverso l'edificazione di luoghi sacri, veri e propri templi magici di energia.
L'autore definisce tale edificazione il "riscatto della materia"; attraverso la potenza del simbolo, l'uomo è in grado di elevare spiritualmente la materia e renderla un portale per penetrare in una dimensione divina.
La costruzione del tempio magico diviene così un'operazione psichica di ampliamento della propria coscienza. Il tempio è, per tutte le tradizioni, un vero e proprio microcosmo: il riflesso del cosmo che racchiude, in sé, ogni elemento della realtà. Allo stesso tempo, il tempio è anche riflesso dell'animo umano, così vasto che, parafrasando il detto di Eraclito, per quanto lo si indagherà non sarà mai possibile conoscerlo, tanto profondamente esso si dispiega.
Per Kearton esistono tre piani del tempio: il piano mentale, il piano fisico e il piano astrale, intermedio tra i due. Il Tempio Magico per eccellenza è costruito su tutti e tre i piani di realtà perché, come già affrontato negli altri articoli dedicati alla magia, il fulcro dell'operazione magica risiede nel connettere ogni piano di esistenza, dai più bassi ai più elevati, dalla materia allo spirito a Dio, secondo il detto alchemico: come in alto così in basso.
Il tempio mentale è il tempio simbolico; un'idea, una credenza, un archetipo che possediamo nella nostra mente o per la nostra immaginazione soggettiva, o derivante dal nostro inconscio collettivo, che al solo pensiero ci ristora di energie, speranza, passione. 
Il tempio fisico nasce, come accennato in precedenza, dal rendere concreto questo luogo mentale per potervisi ritirare anche materialmente, oltre che spiritualmente. L'edificazione avviene tramite precise idee spirituali, religiose e simboliche; il tempio fisico diventa una narrazione simbolica delle credenze umane, amplifica il potere dell'immaginazione stimolandola con le sensazioni e l'uomo, accedendovi e trovandosi circondato dalla potenza di tali immagini, non può che uscirne ristorato e colmato di nuove forze.
Infine vi è il tempio astrale, luogo di contatto tra le due dimensioni; il tempio astrale è una rappresentazione mentale fedele e precisa del tempio fisico. L'idea è di edificare nel proprio animo, attraverso l'immaginazione e la contemplazione, un tempio simbolico e mentale così preciso e vivido da dargli una forma propria. L'uomo, ritiratosi in contemplazione, deve esercitarsi a immaginare un tempio perfettamente costruito, soffermandosi sui minimi dettagli: l'entrata, le colonne, i simboli, le luci e le candele, i drappi, l'altare, gli oggetti rituali. L'immaginazione deve diventare così vivida da creare un vero e proprio luogo mentale in cui ritirarsi, come se vi si accedesse, ogni volta che lo si desidera, chiudendo gli occhi. Come scrive Kearton:
Alla fine di tale operazione "il tempio dovrebbe essere abbastanza reale per voi da poterci camminare nell'immaginazione, toccando le diverse forme e percependo le varie strutture" (Il Tempio Magico, Michel Kearton, Hermes Edizioni, p. 34)
Edificati tutti e tre i templi, l'uomo avrà allineato i tre piani di realtà e potrà così amplificare le proprie energie interiori. Concludendo con le parole di Kearton:

"Un tempio è un potente stimolante dell'evoluzione [...]. Il tempio è un potente conduttore di verità e di amore; per amore intendo l'affetto superiore del bene nel suo complesso, piuttosto che un semplice efflusso emotivo di sentimentalismo. [...] Il tempio è un potente punto di fondamento e qualunque cosa compaia entro di esso tende ad avere effetti corrispondenti sulla nostra vita esterna. Per tale ragione abbiamo sottolineato l'importanza del modo in cui il tempio viene impiegato e dell'atteggiamento con il quale ci poniamo di fronte a esso nella sua costruzione e nel suo uso. [...] Il modo in cui tali forze sono incanalate attraverso di voi costituirà la modalità necessaria alla vostra massima evoluzione nel tempo presente" (Il Tempio Magico, Michel Kearton, Hermes Edizioni, p.104)

Il Tempio Magico, Michel Kearton, Hermes Edizioni

Daniele Palmieri

mercoledì 12 dicembre 2018

Machen: Il popolo bianco. L'iniziazione alla stregoneria

Artur Machen è stato, con Lovecraft, uno dei principali autori della letteratura gotica a cavallo tra XIX e XX secolo, in grado di evocare atmosfere sacrali, in cui i protagonisti entrano in contatto con verità cupe e oscure tra le pieghe dell'esistenza e in cui il terrore non è mai fine a se stesso, ma diviene un'estasi iniziatica in grado di trasmutare la psiche del soggetto, facendole vivere un'esperienza cosmica. 
A differenza di Lovecraft che, a dispetto dei suoi racconti, fu un fervente razionalista,  Machen fu un profondo esoterista, adepto della Golden Dawn, e nei suoi racconti sono disseminati molteplici richiami occulti alla conoscenza magica.
Il Popolo Bianco può essere considerato il suo racconto esoterico per eccellenza, un vero e proprio resoconto dell'iniziazione magica e, allo stesso tempo, uno dei racconti gotici più profondi e stranianti mai scritti.
La novella si apre con una lunga disquisizione filosofica sul vero significato della santità e del peccato, del bene e del male, binomio fulcro dell'intera conoscenza. Ambrose, il primo narratore in questa novella, sostiene che le categorie classiche di "bene" e "male" sono troppo limitanti, troppo mediocri per comprendere la reale essenza del Peccato e della Santità, ben più affini di quanto si potrebbe pensare. "Stregoneria e santità, queste sono le sole realtà. Ciascuna è un'estasi, un ritirarsi dalla vita comune" (Arthur Machen, Il Popolo Bianco, Hypnos Edizioni, p. 139) dice Ambrose fin dalle prime battute del testo, capovolgendo la cognizione classica, divisa a compartimenti stagni, che abbiamo dei concetti di Bene e Male.
Il Male è un'entità spirituale profonda almeno quanto il Bene; non si parla, ovviamente, del male comune, come può essere un furto o un omicidio. Crimini del genere, dice Ambrose, sono solo un pallido riflesso della vera essenza del Male. Semmai sono casi di "cattiva educazione", di un'impossibilità di vivere nel comune consorzio umano. Allo stesso tempo, la Santità non ha nulla a che fare con il "bene" della vita di ogni giorno. Tanto la semplice elemosina quanto il furto sono atti "mediocri", della vita di ogni giorno, ben lontani dall'essenza pura e profonda della Santità e del Peccato.
Come dice Ambrose:

"Temo stiate cadendo nel diffusissimo errore di confinare il mondo spirituale ai supremamente buoni; ma anche i supremamente malvagi hanno necessariamente la loro parte. L'uomo puramente carnale e sensuale non può essere un peccatore più grande di quanto non possa essere un grande santo. La maggior parte di noi è composta da creature indifferenti e spaesate; ce la caviamo come possiamo nel mondo senza renderci conto del significato e del senso profondo delle cose e, per conseguenza, la nostra malvagità e la nostra bontà sono entrambe mediocri e insignificanti" (Arthur Machen, Il Popolo Bianco, Hypnos Edizioni, pp. 139-140)

Il Male possiede una propria entità; non è soltanto un'ombra, un nulla, come sostengono i teologi cristiani; "Il male è del tutto positivo, soltanto lo è nel verso sbagliato" (Arthur Machen, Il Popolo Bianco, Hypnos Edizioni, p. 141)

Il Male presuppone un ribaltamento della comune coscienza delle cose, un'inversione di prospettiva che conduce in una tenebra oscura in cui l'immaginazione, la volontà, il desiderio liberano le loro forze creatrici per aspirare a una libertà più profonda, sciolta da qualsiasi convenzione morale e sociale. Per questo, alla domanda: Che cos'è il peccato?  Ambrose Risponde:

"Penso di dovervi rispondere con un'altra domanda. Come vi sentireste, seriamente, se il vostro cane o il vostro gatto cominciassero a parlarvi e a discutere con voi in accenti umani? Sareste sopraffatto dall'orrore. Ne sono certo. E se le rose nel vostro giardino cantassero una strana canzone, voi impazzireste. E immaginate che le pietre della strada cominciassero a gonfiarsi e a crescere davanti ai vostri occhi; e se il ciottolo che notavate la sera al mattino avesse messo boccioli di pietra? Ecco, questi esempi possono darvi un'idea di cosa sia il peccato [...] L'essenza del peccato è prendere d'assalto il paradiso. [...] Mi pare che sia semplicemente un tentativo di penetrare in una sfera più alta con mezzi proibiti. Potrete comprendere perché è così raro. Sono davvero in pochi a desiderare di penetrare in altre sfere, più alte o più basse, in modi consentiti o vietati. Gli uomini, nel complesso, sono ampiamente soddisfatti della vita coma la trovano. Pertanto ci sono pochi santi, e i peccatori nel vero senso della parola sono ancora meno, e gli uomini di genio che partecipano talvolta di ciascuna caratteristica sono altrettanto rari" ((Arthur Machen, Il Popolo Bianco, Hypnos Edizioni, p. 143).

Mentre la Santità è il recupero della purezza perduta, dunque di qualcosa che già abbiamo avuto, il Peccato è il tentativo di conquistare qualcosa che non è nella nostra natura: una libertà illimitata, come quella di Dio. Come dice Ambrose:

"Il peccato è uno sforzo di ottenere l'estati e la conoscenza che appartengono soltanto agli angeli, e nel fare questo l'uomo diventa un demone" (Arthur Machen, Il Popolo Bianco, Hypnos Edizioni, p. 144).

La malvagità è un'estasi, un rapimento dell'anima tanto quanto la santità e, come la santità, richiede un lungo percorso iniziatico per trascendere i limiti ordinari di coscienza, per immergere le proprie ali nel fango senza rimanerne invischiati.
Non è semplice carpire l'essenza di questi concetti attraverso linguaggio e parole razionali ma, come per i rapimenti mistici ed estatici, occorre il racconto di una persona che ha vissuto tali esperienze sulla propria pelle. Compare così, all'interno del racconto, il misterioso diario verde che Ambrose porge a Cotgrave, suo interlocutore. Un piccolo quaderno sbiadito, dal "vecchio odore, delcato e persistente, come quello che talvolta aleggia attorno a un mobile antico per un secolo e più", di carta sottile e dalle pagine ricoperte di fitti caratteri eleganti e metodici.
Si tratta di un manoscritto autobiografico, che contiene il racconto di una giovane ragazzina che narra la sua inconsapevole iniziazione alla stregoneria e alle arti magiche. Ed ecco che, con le parole del diario, comincia il racconto vero e proprio. 
L'aspetto più sconvolgente risiede nella prospettiva da cui è narrata la storia; la prospettiva di una bambina/ragazza che, per gran parte del racconto, non è in grado di comprendere la stranezza dei fenomeni a cui sta assistendo e per la quale ogni cosa, anche la più bizzarra e incredibile, risulta nella natura delle cose. La ragazzina narra infatti, con naturalezza, come fin dalla tenera infanzia fosse abituata a pallidi volti bianchi che la osservavano dall'alto della culla, parlandogli una lingua sconosciuta. Con la medesima naturalezza racconta anche delle strane passeggiate nei boschi compiute con la bambinaia, in realtà una strega iniziatrice, durante le quali incontrava spesso un uomo alto e nero, come un'ombra, con cui la bambinaia si allontanava, e strane figure bianche che fuoriuscivano da fonti sorgive, che ballavano, danzavano e parlavano con lei.
La protagonista aveva sempre osservato questi fenomeni da "esterna", fino al sopraggiungere dell'età iniziatica.
L'iniziazione comincia a tredici/quattordici anni, momento cruciale che, in tutte le tradizioni, rappresenta il passaggio dall'infanzia alla giovinezza, transizione che veniva accompagnata da precisi riti iniziatici in cui, attraverso prove di coraggio spesso spaventose e pericolose, venivano risvegliate le forze psicologiche necessarie per passare al nuovo livello di coscienza.
La paura e il terrore regnano sovrani nel ricordo del giorno dell'inconsapevole iniziazione, che comincia con un altro dei motivi ricorrenti dei racconti iniziatici e di magia: il passaggio stretto, ponte tra la dimensione ordinaria e la dimensione magica che soltanto pochi eletti possono attraversare (archetipo che ho analizzato anche in Picnic a Hanging Rock).
Racconta l'iniziata nel diario verde:
"Quel pomeriggio feci una strada differente e un ruscelletto mi condusse in un posto nuovo, ma mi strappai il vestito attraversando dei punti difficili, perché la strada passava attraverso molti cespugli e sotto i rami bassi degli alberi, e su per boschetti di spine sulle colline, e attraverso boschi scuri pieni di erbacce spinose. Mi sembrava che sarei andata avanti per sempre e dovetti strisciare in un posto simile a una galleria dove doveva esserci stato un ruscello" (Arthur Machen, Il Popolo Bianco, Hypnos Edizioni, p. 154).
Come in Picnic a Hanging Rock, lo spogliarsi/strapparsi dei vestiti della vita ordinaria e borghese è una grande metafora del ritorno alla Natura e al passaggio alla dimensione selvaggia, indomita e panica dell'esistenza. Il passaggio stretto conduce la protagonista in un luogo alieno, una dimensione parallela in cui spazio, tempo, distanza, luci, ombre, forme e dimensioni sembrano aver perso i loro connotati ordinari e in cui ogni cosa sembra fondersi in un unico ghigno sinistro. Si tratta di una collina dalla quale l'iniziata può contemplare il paesaggio, altro motivo iniziatico simile alla Divina Commedia, in cui Dante può elevarsi fino al Paradiso soltanto dopo aver strisciato nei cunicoli dell'Inferno e in cui, paradossalmente, questo addentrarsi nelle viscere della terra e nell'oscurità conduce a un elevarsi al di sopra del mondo. 
Come narra l'iniziata:
"Giunsi a una collina che non avevo mai visto prima. Ero in un lugubre boschetto di rami neri e contorti che mi graffiavano mentre passavo, e gridai perché sentivo bruciore dappertutto, e poi mi accorsi che mi stavo arrampicando, e salii e salii molto a lungo, finché il boschetto finì e uscii piangendo proprio sotto la cima di un grande altipiano spoglio, dove c'erano orribili pietre grigie sparse tra l'erba, e qui e là un piccolo albero contorto e stentato usciva da sotto una pietra, come un serpente. Salii fino alla cima, che era molto distante. Non avevo mai visto rocce così grosse e brutte prima; alcune emergevano dal terreno, e altre sembravano essere rotolate nel punto in cui si trovavano, e continuavano fino a dove arrivava il mio sguardo [...]. Guardai verso l'esterno e vidi i dintorni, ma era tutto strano [...] le forme degli alberi sembravano diverse da quelle di qualsiasi albero avessi mai visto prima [...]. Poi, oltre gli alberi, c'erano altre colline tutto intorno a formare un anello [...]. Ogni cosa era straordinariamente immobile e silenziosa, e il cielo grigio e pesante e triste" (Arthur Machen, Il Popolo Bianco, Hypnos Edizioni, p. 155).
Allineamenti di pietre, dolmen, menhir, sculture dai caratteri demoniaci sono disseminati per tutto il paesaggio e improvvisamente, dall'immobilità assoluta, cominciano a girare e a girare in una danza che disorienta la psiche della protagonista, fino a farla precipitare giù dalla collina, metafora della vertigine intellettuale dell'ascesa a sfere conoscitive più elevate.
Ripresi i sensi, tutto è tornato immobile e riprendendo il cammino la protagonista, terrorizzata ma allo stesso tempo ammaliata dall'esperienza, incappa in una fonte simile a vino bianco frizzante, che scorreva su un letto di pietre rosse, gialle e verdi. 
L'acqua e la fonte vergine sono ulteriori elementi mistici ricorrenti nella letteratura iniziatica e, anche in questo caso, l'abbeverarsi alla fonte della conoscenza sacra causa nella protagonista un sensi di leggerezza, vertigine, frenesia divina che la investe di nuove forze e, passato il timore, la porta ad avanzare danzando, felice, in un'unione panica con l'intera natura. 
La protagonista ha compiuto con successo il primo passo dell'iniziazione alla dimensione magica dell'esistenza e, come una folgore nella notte, gli si rivela un pensiero: "Ora e sempre, nei secoli dei secoli, Amen". Questo richiamo alla preghiera cristiana rappresenta ciò che Ambrose tentava di comunicare a parole parlando del peccato: un ribaltamento del paradiso, la dissoluzione dell'anima della protagonista non nella luce divina, ma nelle tenebre del bosco e della Natura, nel principio Luciferino eterno quanto Dio.
Ciò è testimoniato da un altro rito compiuto dalla protagonista, che rappresenta, specularmente, il sacramento del battesimo: l'immersione in un'altra sorgente d'acqua gorgogliante, simile a una vasca, circondata di muschio verde. Ma, mentre nel battesimo cristiano a essere battezzata è la testa, in questo ribaltamento del rito l'iniziata immerge l'arto opposto, i piedi, e la fonte stessa, dalla profondità insondabile, rimanda all'idea di un'energia cosmica nera e profonda che permea l'intero cosmo.
Compiuto il rito battesimale, l'iniziata procede il suo cammino e superando un antico muro di pietra, sempre immerso nella foresta, giunge in un'altra regione ignota, ancora più misteriosa. Un'ampia vallata disseminata di conche profonde e oscure, simili a grandi pozzi nel terreno. La protagonista, ricevuto il battesimo della notte, può ora accedere all'oscurità infera e, difatti, scivola lungo il pendio di una di queste grandi conche, fino a toccare il fondo. Da questa prospettiva:
"Tutto era strano e solenne. Non c'era altro che il cielo grigio e pesante e le pendici della conca; tutto il resto era scomparso, la conca era il mondo intero e pensai che di notte doveva essere piena di fantasmi e di ombre che si muoveano e cose pallide nei punti in cui la luna splendeva sul fondo [...]. Era così strano e solenne e solitario, come un tempio cavo di divinità pagane e morte" (Arthur Machen, Il Popolo Bianco, Hypnos Edizioni, pp. 160-161)
Di fronte a questo spettacolo riemergono i ricordi dei racconti della bambinaia, a sua volta iniziata alla stregoneria, su quelle buche profonde nel terreno, nelle quali era possibile entrare in contatto con forze oscure, personificate nella figura dell'uomo nero e che, invisibili, erano in grado di penetrare nella propria psiche fino a prenderne il pieno dominio. 
Torna la paura e la giovane scappa, spaventata, per ricercare la strada di casa, e seguendo un animale (altro archetipo ricorrente, l'animale guida, incarnazione di uno spirito divino) scopre un ulteriore passaggio segreto tra i rovi e approda a un bosco ancora più sacro di quelli attraversati fino a quel momento, sul quale però cala il velo del silenzio iniziatico: " Proseguii fino a trovare un certo bosco, che è troppo segreto per essere descritto [...] Lì vidi la cosa più meravigliosa che abbia mai visto, ma solo per un istante, perché corsi via subito e strisciai fuori dal bosco. Corsi e corsi più veloce che potevo, perché ero spaventata, perché quello che avevo visto era troppo meraviglioso e strano e bellissimo" (Arthur Machen, Il Popolo Bianco, Hypnos Edizioni, p. 162-163).
In ogni racconto mistico si arriva a un punto in cui le parole e le metafore non possono più descrivere la visione e in cui, per forza di cose, deve cadere il silenzio iniziatico per serbare il segreto e non rivelarlo a orecchie profane. La protagonista è qui giunta al culmine dell'iniziazione alla stregoneria; ciò che ha veduto è troppo meraviglioso e conturbante per essere raccontato e, per quanto la sua mente non possa reggere tale visione - giacché l'uomo non può che uscire distrutto e sconfitto dalla visione del Dio - la visione le è ormai penetrata nell'anima. L'ombra nera della dimensione magica si è protesa su di lei e l'ha carpita a tal punto che, una volta arrivata a casa, guardando il bosco dalla propria finestra, le fronde degli alberi baluginano di una luce lunare e una grande ombra nera ricopre l'intero giardino.
Nei giorni successivi riaffiorano i ricordi dei racconti e delle esperienze della bambinaia, a cui soltanto ora, rivelato il segreto iniziatico, riesce a dare un senso con sguardo retrospettivo. Ed ecco che ritornano le immagini dei racconti di balli e riti celebrati nella notte da uomini e donne di ogni estradizione sociale, di incantesimi, riti, cerimonie, di fantocci d'argilla creati insieme, quasi per gioco, e nascosti e venerati nella foresta.
Rimembrando tali ricordi, riaffiora anche la conoscenza dell'ultimo rito iniziatico raccontatogli dalla bambinaia per donarsi in sposa all'uomo nero. E così, spinta dal desiderio della felicità eterna, mossa dalla bramosia di rivivere quelle passioni magiche e infere, la protagonista crea un bambolotto di argilla, lo venera e lo nasconde nella foresta e infine torna al bosco segreto, dove: 
"Andai avanti e avanti finché giunsi al bosco segreto che non deve essere descritto, e strisciai dentro dal passaggio che avevo trovato. Più o meno a metà strada mi fermai, mi voltai e mi preparai; mi legai stretto un fazzoletto sugli occhi e mi assicurai di non vederci affatto [...] Poi proseguii un passo alla volta, molto lentamente. Il cuore mi batteva sempre più forte, e mi salì qualcosa alla gola che mi soffocava e mi faceva venire voglia di gridare, ma strinsi le labbra e andai avanti. Mentre proseguivo i rami mi si impigliavano nei capelli, e grosse spine mi graffiavano, ma giunsi fino alla fine del sentiero. Poi mi fermai, tesi le braccia e mi chinai, e feci il primo giro a tentoni [...]. Feci il secondo giro a tentoni, e la storia era tutta vera, e desiderai che fossero passati anni e di non dover aspettare così tanto per poter essere felice in eterno" (Arthur Machen, Il Popolo Bianco, Hypnos Edizioni, p. 187).
L'iniziazione è conclusa, il patto con l'uomo nero è stipulato; l'ombra oscura si è insinuata nella sua anima che è stata trasmutata in una delle molteplici ninfe del Popolo Bianco.

Arthur Machen, Il Popolo Bianco, Hypnos Edizioni

Daniele Palmieri


mercoledì 5 dicembre 2018

Cornelio Agrippa: La filosofia occulta o la magia


Dopo aver parlato di Aleister Crowley, Eliphas Levi e Giordano Bruno, torniamo ancora indietro nel tempo per analizzare la figura di uno dei più grandi filosofi, maghi, alchimisti mai esistiti: Cornelio  Agrippa. 
Ho già affrontato la figura di Cornelio Agrippa in un articolo dedicato a La nobiltà delle donne, una sua spregiudicata orazione in lode al sesso femminile nell'epoca della feroce caccia alle streghe, testo che ho curato per conto di Libraio Editore.
In questo nuovo articolo affronteremo invece la sua opera principale, tanto conosciuta quanto poco letta: La filosofia occulta o la magia, edita in Italia dalle Edizioni Mediterranee.
La filosofia occulta è passata alla storia come il più importante compendio delle arti magiche, libro proibito sulla scrivania dei più illustri pensatori del del XVI, del XVII e perfino del XVIII secolo. Basti pensare che esso influenzerà non solo grandi filosofi e occultisti come Campanella e Giordano Bruno, ma perfino scienziati come Isaac Newton. Questo perché La filosofia occulta non è un semplice insieme di ricettari più o meno bizzarri, ma un testo che dà alla magia una visione teorica organica e compiuta, che verrà raffinata circa mezzo secolo dopo soltanto da Giordano Bruno. 
Agrippa precisa fin da subito qual è la vera essenza della magia e quali sono i suoi campi d'indagine e di operazione:

"Come v'hanno tre sorta di mondi, l'Elementale il Celeste e l'Intellettuale, e come ogni cosa inferiore è governata dalla sua superiore e ne riceve le influenze, in modo che l'Archetipo stesso e Operatore sovrano ci comunica le virtù della sua onnipotenza a mezzo degli angeli, dei cieli, delle stelle, degli elementi, degli animali, delle piante, dei metalli e delle pietre, e cose tutte create per essere da noi usate; così i Magi credono che noi possiamo agevolmente risalire gli stessi gradini, penetrare successivamente in ciascuno di tali mondi e giungere sino al mondo archetipo animatore, causa prima da cui procedono tutte le cose, e godere non solo delle virtù possedute dalle cose più nobili, ma conquistarne nuove più efficaci" (Cornelio Agrippa, La filosofia occulta o la magia, Edizioni Mediterranee, p. 3).

Di conseguenza:

"La magia è una scienza poderosa e misteriosa, che abbraccia la profondissima contemplazione delle cose più segrete, la loro natura, la potenza, la qualità, la sostanza, la virtù e la conoscenza di tutta la natura" (Cornelio Agrippa, La filosofia occulta o la magia, Edizioni Mediterranee, p. 4)

La magia è la forma più alta di sapienza, poiché racchiude in sé le tre scienze principali: fisica, matematica e teologia, a  cui corrispondono tre mondi e, dunque, tre campi di indagine differenti, seppur intrinsecamente collegati. La fisica è preposta alla conoscenza delle leggi naturali che regolano il divenire della materia; la matematica studia i rapporti numerici tra le cose e il movimento armonico delle sfere celesti, nonché le loro reciproche interazioni; infine, la teologia si occupa della conoscenza di angeli, demoni, mente, divino, Dio, pensiero, anima e di tutto ciò che vi è di immateriale.
Come scrive Agrippa:

"La magia racchiude in sé queste tre scienze così feconde di prodigi, le fonde insieme e le traduce in atto. Perciò a ragione gli antichi l'hanno stimata la scienza più sublime e degna di venerazione" (Cornelio Agrippa, La filosofia occulta o la magia, Edizioni Mediterranee, p. 5)

La magia "traduce in atto" la conoscenza; è la forma più alta di sapere poiché non si limita a conoscere le cose, ma ha lo scopo di agire attivamente su di esse a partire dallo studio delle loro relazioni. Mentre "sapere aude" diverrà il motto principale dell'illuminismo, "sapere è potere" potrebbe essere considerato il motto della magia. L'idea rinascimentale dell'uomo artefice del proprio destino nasce proprio in seno al pensiero magico, non solo con Agrippa ma in testi più antichi di almeno quattro secoli, come il Picatrix. 
Lungi dall'essere una scienza irrazionale e superstiziosa, la magia, nell'ottica di Agrippa, rappresenta il tentativo prometeico dell'uomo di elevarsi a una conoscenza profonda delle ragioni occulte delle cose. Ragioni che sfuggono alla ragione ordinaria, alla ratio ordinatrice e che, come vedremo, richiederanno l'impiego non soltanto della ragione e dell'intelletto, ma di una facoltà conoscitiva in grado di trascendere la visione ordinaria delle cose: l'immaginazione.
L'immaginazione è la facoltà magica per eccellenza, poiché permette di intuire quei nessi nascosti tra i diversi piani di realtà che non potremmo mai vedere se ci limitassimo a studiare il mondo con gli occhi della ragione.
Per Agrippa, come per Bruno, il potere del mago risiede  proprio nella sua capacità di vedere tra le pieghe del reale per mezzo dell'immaginazione e riconoscere uno Spirito unitario che lega ogni aspetto della scala gerarchica per mezzo di virtù archetipiche, che si ripropongono a ogni livello della manifestazione divina. Come scrive Agrippa ne La filosofia occulta:

"Democrito, Orfeo e molti pitagorici, che hanno ricercato accuratamente le virtù dei corpi inferiori, hanno detto che in ogni cosa si racchiude alcunché di divino e non senza ragione, poiché non v'ha alcuna cosa, per quante virtù essa s'abbia, che possa essere contenta della propria natura senza il soccorso della potenza divina. Ora essi chiamavano dei le virtù divine diffuse nelle cose, virtù che Zoroastro chiama attrattori divini, Sinesio attrattive simboliche, altri vite, altri ancora anime, da cui dicono dipendere le virtù delle cose, o anche una materia che si diffonde spiritualmente sulle altre materie su cui opera, nel modo istesso con cui l'uomo estende il suo intelletto sulle cose intelligibili e la sua immaginativa sulle cose immaginabili [...] Essendo l'anima il primo mobile, che agisce e si muove volentieri da sé stessa e per sé stessa, e il corpo o la materia, essendo inabile o insufficiente a muoversi da sé stesso, si dice essere necessario un mediatore più eccellente capace di riunire il corpo e all'anima. E questi è lo Spirito del mondo, che si dice essere la quinta essenza, perché non proviene dai quattro elementi, ma è come un quinto elemento superiore ad essi e che sussiste senza di essi. Vi è dunque assoluto bisogno d'un tale spirito affinché le anime celesti giungano a penetrare in un corpo grossolano e a comunicargli le loro meravigliose qualità" (Cornelio Agrippa, La filosofia occulta o la magia, Edizioni Mediterranee, p. 27)

Lo Spirito, quinto elemento etereo, è il collante universale che lega l'anima alla materia e che infonde le medesime virtù tanto nei piani superiori della gerarchia quanto in quelli inferiori, esattamente come l'immaginazione che, nell'anima umana, è in grado di unire le immagini sensibile, colte dai sensi, ai concetti astratti e intellegibili colti dall'intelletto. Lo Spirito permea ogni cosa, in tutto si effonde come una materia oscura che manovra i fili dell'intero cosmo ed è sullo Spirito che il mago deve operare, mediante la sua facoltà immaginativa. Con le parole di Agrippa:

"Non esiste nulla nell'universo che non sia influenzato da qualche particella della sua virtù e che sia affatto privo del suo potere. In virtù di tale spirito, tutte le qualità occulte si diffondono sulle erbe, sulle pietre, sui metalli e sugli animali, attraverso il sole, la luna, i pianeti e le stelle che sono superiori ai pianeti. E tale spirito ci sarà tanto più utile, quanto più sapremo separarlo dagli altri elementi e quanto meglio sapremo servirci delle cose in cui sarà penetrato con più abbondanza" (Cornelio Agrippa, La filosofia occulta o la magia, Edizioni Mediterranee, p. 28).

Per condensare la virtù essenziale delle cose, occorre legarle tra loro per analogia. L'analogia è uno dei procedimenti magici per eccellenza, che nasce dalla facoltà immaginativa. Si tratta di riconoscere i legami occulti tra le cose a partire dalle virtù similari che esse nascondo, per riunirle e dunque amplificarne la potenza e utilizzarla per le proprie operazioni magiche. 
Tale legame occulto tra le cose si basa sull'idea che vi sia una scala gerarchica che, attraverso lo Spirito, unisce ogni cosa che esiste, da Dio al più basso e abietto degli esseri, e che tale scala si manifesti, appunto, attraverso le medesime virtù che, come un frattale, sono presenti in ogni livello della gerarchia cosmica. 
Per fare un esempio pratico di una possibile connessione cosmica tra differenti piani di realtà, Marte è il Dio della guerra, personificazione archetipica della forza, della virtù guerriera, del coraggio; al Dio Marte è associato il pianeta Marte, poiché nell'antichità si era convinti che quella fosse la sua dimora, per via del suo colore rosso e acceso, che per analogia rimanda alla forza, al sangue, al coraggio, all'impeto, all'istinto poiché, per fare un esempio, quando siamo spinti dall'ira il nostro corpo ribolle come invasato da una virtù guerriera e il nostro volto si fa rosso, così come rosso è il sangue che scorre sui campi di battaglia. Di conseguenza, le pietre rosse, come il rubino, saranno quelle associate a Marte (pianeta e Dio), alla forza, alla guerra, all'ira, all'impeto e, per analogia, i più forti e possenti animali, come il Leone, saranno gli animali associati a Marte e alle medesime virtù. Si può così notare come è stata intessuta una scala che lega ogni piano della realtà, uniti dal filo conduttore della medesima virtù: divino e teologico (Marte, dio della guerra), celeste (il pianeta Marte), umano (le virtù e le modificazioni psicofisiche associate alla forza e alla guerra), animale (il Leone e tutti gli animali associati alla forza e al coraggio) e minerale (il rubino, rosso come Marte).
Il passaggio conseguente, nell'ottica magico/alchemica, è quello di combinare tra loro tutti questi ingredienti che contengono, per analogia, la medesima virtù occulta (la forza guerriera, la potenza) per "distillarne" un estratto puro, la quintessenza che sul piano dello Spirito lega, in maniera invisibile, tutti i piani di realtà. Ed è in questo modo che nascono gli infusi e le pozioni magiche che, di primo acchito, all'uomo di oggi, paiono intrugli insensati nati dalle superstizione, ma che nascondono un paradigma teoretico dotato di una propria logica interna che permette di comprenderne il senso. 
Insieme all'immaginazione, un ruolo privilegiato nell'operazione magica è attribuito al linguaggio e ai numeri, analizzati nella seconda parte dell'opera dedicata alla magia matematica.
Le parole sono un punto di contatto tra mondo interiore e immateriale e mondo esteriore e materiale; la voce, infatti, nasce dal pensiero incorporeo e si manifesta nel mondo attraverso la vibrazione materiale delle corde vocali, portando con sé tutta la potenza del pensiero creatore e le virtù possedute da colui che pronuncia tali parole. Così nasce il concetto, entrato nell'immaginario collettivo, di "formula magica", l'idea che le parole possano agire attivamente sul mondo attraverso la potenza del significato da esse veicolato.
Come scrive Agrippa:

"Le parole costituiscono un legame tra colui che parla e colui che ascolta e trascinano seco non solo il concetto ma sino la virtù di colui che parla, virtù che si comunica all'ascoltatore spesso con tale vigore da influenzarlo e con esso altri corpi e perfino le cose inanimati. Le parole sono più efficaci quanto meglio esprimono e rappresentano le cose più grandi, cioè le intellettuali le celesti e le soprannaturali e quelle stabilite e ordinate nella lingua più degna e rivestite della più santa dignità" (Cornelio Agrippa, La filosofia occulta o la magia, Edizioni Mediterranee, p. 126)

Le parole e il pensiero sono, inoltre, ciò che uniscono l'uomo alle gerarchie più elevate, il punto d'incontro in cui la natura umana, animale e terrena si incrocia con la natura celeste, divina e sovrasensibile. Da ciò deriva la grande attenzione della magia nei confronti sia delle formule sacre sia del linguaggio e dei numeri. Agrippa, come molti altri maghi a lui precedenti, dà preminenza magica alle lingue più antiche, non solo all'Ebraico ma anche ad altri caratteri sacri come le Rune, il greco e i simboli angelici/salomonici, che elenca nella seconda parte de La filosofia occulta. Vi è l'idea che quanto più antica sia la lingua e quanto più essa sia legata alle manifestazioni religiose di un popolo, tanto più essa sia "pura" e, dunque, potente dal punto di vista magico, poiché diretta rivelazione delle gerarchie superiori.
 Lo stesso dicasi dei numeri che, già secondo i Pitagorici, compongono un vero e proprio alfabeto sacro attraverso il quale la divinità ha creato dal Kaos il Cosmos mediante precisi rapporti armonici, la cui conoscenza permette al mago di far vibrare le corde dell'Universo in base ai ritmi desiderati, effondendo attraverso lo Spirito la propria influenza magica. 
Dalla parola, dal simbolo e dai gesti sacri nasce il terzo livello di magia, la magia cerimoniale che, come suggerisce il nome, opera sul piano metafisico non con l'utilizzo di elementi materiali, come la filosofia naturale, ma attraverso rituali e cerimonie volti a catalizzare le energie divine, legando a sé gli déi, i demoni o gli angeli. 
Agrippa opera un sincretismo tra le diverse culture religiose, simile al sincretismo neoplatonico che concilia l'esistenza di un unico Dio, eternamente trascendente e di molteplici divinità più o meno immanenti, istituendo una scala gerarchica che vede nelle divinità inferiori molteplici manifestazioni, personificate, dell'unico Dio. 
Così, per Agrippa, non è contraddittorio parlare di Marte, Giove, Saturno e, allo stesso tempo, di Angeli e Dei cristiani, poiché l'unico Dio si manifesta prima attraverso gli Dèi, le forme più pure delle sue molteplici potenze, poi mediante gli Angeli, puro intelletto, e infine attraverso i gradini inferiori del cosmo: gli animali, le piante, i minerali e i Demoni. L'uomo si situa, come anticipato, nel punto di contatto tra Angeli e Bestie e, come sostiene Pico della Mirandola, sta a lui scegliere se elevarsi al rango di Dio, o discendere verso il fango e i demoni. 
In tale prospettiva, Dèi, Angeli e Demoni sono dunque manifestazioni della forza divina e primordiale che muove l'intero Cosmo, e che si condensa in determinate virtù per generare il divenire. La cerimonia magica volta ai piani superiori o inferiori ha lo scopo di penetrare, attraverso l'anima e la voce, nelle sfere puramente intellettive dell'esistenza e di ligare a sé le potenze angeliche, divine o demoniache mediante la parola e i simboli che, come abbiamo visto, risultano essere la porta di accesso al mondo immateriale. 
Cerimonie che non tutti possono mettere in pratica, poiché richiedono anzitutto la perfetta padronanza dei due piani inferiori di magia, la magia naturale e la magia matematica, e secondariamente poiché richiedono un lungo e tortuoso percorso interiore in grado di condurre il mago alla compiuta conoscenza e al compiuto dominio di sé, per non divenire succube delle forze molto più grandi di lui con cui sta cercando di entrare in contatto.
Ogni cerimonia richiede una preliminare preparazione spirituale. Per ricevere gli oracoli dalle forze divine, ad esempio, Agrippa "prescrive" un lungo periodo di ascesi e purificazione, poiché:

"L'anima umana, quando sia purificata ed espiata secondo il rito, sciolta allora da ogni variazione, brilla al di fuori con libero movimento, ascende in alto, prende le cose divine, istruisce anche se stessa [...]. Sopra ogni cosa bisognerà dunque conservare questa purezza nel modo di vivere, nelle opere, nelle affezioni e bisognerà espellere tutte le impurità e le perturbazioni dell'anima e tutto ciò che offende i sensi e lo spirito [...] perché la nettezza del corpo influisce non poco sulla purezza dello spirito" (Cornelio Agrippa, La filosofia occulta o la magia, Edizioni Mediterranee, vol. 2, p. 319).

Come per gli infusi e le pozioni magiche, il senso della cerimonia risiede nell'essere in grado di distillare la pura virtù che si va ricercando e, in questo caso, operando su un piano metafisico, si tratta di virtù interiori e divine, come la purezza, che la cerimonia è in grado di portare alla luce agendo sui piani psichici dell'anima attraverso i simboli. In questo modo è possibile dare un significato a tutta la ritualistica magica che, se spogliata dalla sua cornice teorica, sembra solo un insieme di bizzarrie superstizione. 
Al contrario, se si diviene consapevoli del significato psichico della cerimonia, ecco che ci si accorgerà di come ogni rito sia in grado di creare un contesto atto a portare a galla determinate energie psichiche legate ai simboli del cerimoniale.
Riprendendo un esempio di Agrippa legato al cerimoniale per indurre nell'animo la purezza: "Per tale motivo i filosofi pitagorici che volevano ottenere le rivelazioni superiori, dopo aver celebrato i lavori divini, s'immergevano in un fiume o in un bagno, rivestivano abiti di bianco lino, ritenendo profano un abito di lana, e si ritiravano in una stanza netta e scrupolosamente linda" (Cornelio Agrippa, La filosofia occulta o la magia, Edizioni  Mediterranee, vol. 2, p. 319).

Ogni gesto, materiale o azione nella cerimonia pitagorica citata da Agrippa è volto a indurre, sul piano immaginativo, una sensazione di purezza e così facendo il simbolo opera da maieuta dell'interiorità, portando alla luce, dalla nostra psiche, la virtù ricercata.
Lo stesso dicasi di ogni tipo di cerimonia in cui gli oggetti, gli infusi, i profumi, le operazioni, le parole, i simboli, i gesti non sono mai fini a se stessi o arbitrari, ma scelti e compiuti con lo scopo di creare il contesto psicologico idoneo e analogo alla virtù o alla forza interiore che si desidera evocare. 
Per concludere, condensare in un articolo l'intera Filosofia occulta di Agrippa è un'impresa che nemmeno il più abile dei maghi potrebbe portare a compimento. Consiglio la lettura integrale dei due volumi del testo, ricordando che le pagine del libro edito dalle Edizioni Mediterranee sono tra loro legate non per un errore di stampa, ma per evitare che occhi distratti si posino su insegnamenti che devono essere raggiunti e studiati, con attenzione e diligenza, passo dopo passo, pagina dopo pagina. 

Cornelio Agrippa, La filosofia occulta o la magia, Edizioni Mediterranee

Daniele Palmieri

venerdì 23 novembre 2018

Le cinque specie di prigionia secondo Taulero

Giovanni Taulero è stato un mistico tedesco, vissuto nel XIV secolo, principale discepolo di Meister Eckhart. Insieme a Suso, Taulero è stato in grado di divulgare e mantenere viva la mistica del maestro, rendendola fruibile anche al pubblico meno "specialistico", con un linguaggio più semplice e diretto rispetto al sofisticato pensiero eckhartiano, senza tuttavia perdere in complessità teologica. 
I suoi Sermoni, pubblicati in Italia dalle Edizioni Paoline, sono un vivido esempio del sentire religioso della mistica tedesca del XIII e XIV, nonché un compendio delle principali tematiche della mistica di reniana: la tenebra divina, il distacco, la rinuncia alla volontà personale e soggettiva in nome di una Volontà divina, l'unione con Dio, la preminenza dell'azione e della contemplazione rispetto alla conoscenza razionale e teorica. 
Uno dei discorsi più interessanti tramandatici dai manoscritti medievali è un sermone intitolato: Le cinque specie di prigionia; testo che non solo compendia il pensiero di Taulero e di Eckhart, ma che può essere considerato, ancora oggi, una valida guida per orientarsi e districarsi nel complicato mondo della spiritualità contemporanea.
Come suggerisce il titolo del sermone, Taulero si focalizza su cinque tipologie di prigioni in cui l'uomo, più o meno consapevolmente e più o meno volontariamente, rischia di trovarsi intrappolato. Cinque insidiose sbarre che ostacolano il suo cammino e che gli impediscono di vivere una vita libera e autentica.
Partendo dalla prima di queste sbarre:

"Ecco la prima: quando l'uomo non ama Dio nelle creature, è fatto prigioniero dell'amore delle creature, siano morte o vive, e particolarmente dall'amore umano che è così profondo nella natura per la somiglianza degli uomini" (Giovanni Taulero, Le cinque specie i prigionia, Sermoni, Edizioni Paoline, p. 235).

Il primo ostacolo a insidiare l'uomo è l'amore smodato nei confronti delle creature. Taulero non vuole qui negare l'importanza della spinta amorosa nei confronti dell'universo circostante; anzi, sottolinea come le creature si debbano amare, amando in esse Dio, ossia il principio divino che le anima; l'amore che si deve combattere e che rende schiavi è ciò che Epitteto definirebbe la "dipendenza dai beni esteriori"; quel tipo di dipendenza nei confronti degli oggetti esterni che porta l'uomo a porre il proprio fondamento in ciò che lo circonda, dimenticandosi così dei suoi beni interiori, gli unici che non sono sottoposti al dominio della fortuna e gli unici che mai potranno esserci strappati. Questa forma di prigionia rende l'uomo schiavo poiché lega indissolubilmente i moti interiori della sua anima ai moti esteriori del mondo, nei confronti dei quali non può avere alcun controllo.
Come sottolinea Taulero, si tratta di una forma di prigionia insidiosa, poiché colpisce anche persone apparentemente "pure e libere"; in particolare, rende schiavi coloro che credono di essere buoni, liberi, puri attraverso le loro opere nei confronti degli altri e del mondo esterno, ma che in realtà sono schiavi della loro vanagloria, poiché in tutte le loro azioni permane il desiderio egoistico di fondo di voler eccellere, di voler primeggiare su prossimo e di voler ostentare la propria purezza. Come scrive Taulero:

"Molte persone, sentendosi libere nella loro dannosa prigionia, sono del tutto sorde e cieche in essa [...]. Compiono molte opere buone, cantano, leggono, sanno tacere, pregano molto, ma tutto questo per poter esprimere ancor meglio la loro propria volontà" Giovanni Taulero, Le cinque specie i prigionia, Sermoni, Edizioni Paoline, p. 236).

E così, questo genere di prigionia sfocia inevitabilmente nella seconda specie:

"La seconda prigionia consiste in questo: molte persone, appena liberate dalla prima prigionia, dall'amore delle creature nelle cose esteriori, cadono nell'amore di se stesse" (Giovanni Taulero, Le cinque specie i prigionia, Sermoni, Edizioni Paoline, p. 236).

Egoismo ed egocentrismo sono le catene più difficili da spezzare e allo stesso tempo quelle che più appesantiscono l'uomo nel suo cammino verso la perfezione spirituale. Quel tipo di bramosia che acceca l'uomo e che lo porta ad amare il mondo circostante non perché riconosce in esso qualcosa di divino, ma perché vede in ciò che lo circonda soltanto degli oggetti atti a soddisfare le sue passioni edonistiche e soggettive. L'amore autentico nei confronti dell'universo è un amore disinteressato, che nasce da un puro sentimento del divino che porta a vedere in ogni elemento del creato una "teofania", una manifestazione di Dio nel mondo, incarnazione di una potenza divina da venerare e rispettare. Al contrario, la bramosia insaziabile ed egoistica nei confronti del mondo porta l'uomo a considerare ogni cosa in termini utilitaristici, ed egli diviene così schiavo delle proprie passioni, non è in grado di elevarsi al di là della passione carnale e sensibile e rimane così invischiato nella terra, prigioniero dei suoi moti interiori, a loro volta dipendenti dagli eventi esterni.
Si tratta di un modo utilitaristico di vedere il mondo, che sfocia inevitabilmente nel terzo tipo di prigionia:

"La terza è la prigionia della ragione. Certe persone vi cadono molto pesantemente, perché tutto ciò che potrebbe nascere nello spirito queste persone lo guastano per il fatto che si gonfiano nella loro ragione, si tratti di insegnamento o di verità, di qualunque genere sia, perché la comprendono, ne sanno parlare, si mettono in mostra e vengono considerati, ma non arrivano a operarla né a viverla" (Giovanni Taulero, Le cinque specie i prigionia, Sermoni, Edizioni Paoline, p. 237).

La ragione è una delle prigioni di massima sicurezza dalla quale è quasi impossibile evadere. Benché sia fondamentale sviluppare la ragione intesa come senso critico nei confronti del mondo, delle azioni, delle idee, degli eventi, la ragione che Taulero contesta è la ragione tronfia, limitata e limitante, che mai potrà comprendere il misteri del cosmo e dell'anima, ma che si ottenebra e si crogiola nel tiepido lume della propria ignoranza. Si tratta della "ratio" comune, portata a dare un ordine logico al mondo e al far rientrare ogni cosa in questo ordine costruito ad hoc a misura d'uomo, anche a costo di forzare le idee, le cose e gli eventi per farli rientrare nella propria prospettiva, distorcendo così l'immagine del mondo. Una ragione che limita e imprigiona l'uomo proprio perché gli impedisce di andare al di là dei suoi limiti e del comune modo di pensare e vedere le cose, e che di conseguenza non può che ostacolarlo nel cammino verso Dio, giacché Dio è per definizione una realtà che trascende i limiti della ragione.
Questo tipo di ragione ostacola l'uomo anche quando questi pensa di essere arrivato a destinazione; ed è qui che compare la quarta sbarra:

"La quarta prigionia è la dolcezza dello spirito. Molti uomini fatti per l'eternità si sono smarriti perché l'hanno seguita troppo, vi si sono abbandonati disordinatamente, l'hanno ricercata troppo e vi si sono fermati: che grande bene sembra abbandonarvisi e possederla con piacere! Ma è allora che la natura trattiene la sua parte, e si coglie il piacere dove si crede di cogliere Dio" Giovanni Taulero, Le cinque specie i prigionia, Sermoni, Edizioni Paoline, p. 238-239).

Anche quando si crede di essere realizzati, di aver raggiunto l'unione mistica con Dio, ecco che compare lo spirito edonistico ed egoistico della ragione pratica, che porta l'uomo a considerare la realizzazione spirituale alla stregua di un "piacere carnale", da vivere "per stare bene". E' uno dei più grandi problemi della spiritualità contemporanea, che vede nel percorso spirituale un mero strumento per aumentare il proprio benessere, per stare in forma, per diventare ricchi, per vivere una vita agiata, in sostanza per raggiungere degli scopi pratici, concreti e materiali, che hanno a che fare con la nostra esistenza temporale. Nulla di tutto ciò si accompagna alla vera realizzazione, da perseguire non per scopi soggettivi ed egoistici, ma da ricercare come una forma di gnosi (conoscenza) liberatoria, che costringe l'uomo proprio nella direzione opposta rispetto a quelli che sono i suoi interessi soggettivi. In tutto ciò, il "benessere" non deve essere il fine, tanto meno l'estasi dell'unione mistica può essere paragonata al piacere sensoriale, poiché in essa l'uomo si dissolve, torna a coincidere con il Dio-Uno primigenio e a perdere ogni individualità, come una goccia d'acqua ritornata alla fonte.
In questo aspetto risiede l'ultima serratura da forzare, quella della volontà individuale:

"La quinta prigionia è quella della propria volontà, cioè quando l'uomo vuole conservare la sua volontà anche nelle cose divine e in Dio stesso" Giovanni Taulero, Le cinque specie i prigionia, Sermoni, Edizioni Paoline, p. 239).


Come già accennato nell'articolo dedicato a Meister Eckhart, per ritornare alla fonte l'uomo deve abdicare alla propria volontà soggettiva e personale per lasciarsi colmare dalla Volontà divina, in modo che ogni sua azione e ogni suo pensiero venga elevato ai ranghi delle azioni e del pensiero di Dio.
Non si tratta di sottomettersi passivamente a Dio, di farsi il "lavaggio del cervello" e divenire un burattino inerme. Al contrario, si tratta di elevarsi, ascendere al rango di Dio, fino a compiere l'azione paradossale, secondo le spregiudicate parole di Meister Eckhart, di uccidere Dio per divenire Dio stesso ed eliminare qualsiasi differenza. A questo punto, giunti a coincidere con la fonte stessa della vita, ogni evento diverrà una manifestazione, una teofania, della propria Volontà divina. Nulla potrà scalfire l'uomo realizzato poiché è come se tutto fosse frutto del suo Volere divino. Come scrive Taulero:

"egli perverrà a un raccoglimento, un'immersione, una fusione nel puro, divino, semplice bene interiore, dove la novile scintilla interiore ha un eguale ritorno e un eguale riflusso alla sua origine da cui è sprizzata. Dove questo riflusso alla sua origine avviene perfettamente, ogni debito è interamente saldato, fosse anche grande come quello di tutti gli uomini che fossero mai stati debitori dal principio del mondo. Ecco, a quel punto viene infusa ogni grazia e ogni felicità, e l'uomo diventa uomo divino" (Giovanni Taulero, Le cinque specie di prigionia, Sermoni, Edizioni Paoline, p. 241).

Per approfondire l'argomento, è disponibile il mio ultimo libro: Pratiche di contemplazione. L'arte della meditazione occidentale: https://www.ibs.it/pratiche-di-contemplazione-arte-della-libro-daniele-palmieri-palmieri-daniele/e/9788827846926


Giovanni Taulero, Le cinque specie di prigionia, Sermoni, Edizoni Paoline

Daniele Palmieri

mercoledì 7 novembre 2018

Carlo Pascal: Da déi a demoni. Il paganesimo morente

Come scrisse Cioran in uno dei suoi aforismi, due sono i momenti più intensi dell'epopea di una civiltà: la nascita, accompagnata dall'ascesa, e la decadenza, accompagnata dal lento declino, dagli ultimi sussulti simili a quelli di un organismo morente.
L'ascesa e il declino di Roma è uno dei casi più emblematici; leggendone la storia, non si può che rimanere ammaliati di fronte alla forza inarrestabile che, per centinaia di anni, ne trainò l'espansione e, allo stesso tempo, non si può che provare un senso di turbamento, di compassione, dinanzi agli ultimi secoli della sua storia, nei quali sembra di vedere il riflesso di un declino fatalistico, inesorabile quanto difficilmente comprensibile.
L'epoca della decadenza, che viene generalmente identificata con i secoli che vanno dal III al V secolo d.C., è un'epoca storica estremamente conflittuale. Tanto è morente l'Impero Romano, quanto sono potenti le forze e i conflitti che si verificano all'interno delle sue membra, a tal punto che pensatori come Spengler lessero il tramonto dell'Impero come la fine di una civiltà in declino e l'ascesa di una nuova civiltà, spinta da forze apparentemente contrapposte ma che presto andranno ad unirsi, quella dei popoli "barbari" e della nuova religione cristiana.
Già a partire dal II secolo d.C. i costumi romani erano scossi da un profondo sentimento religioso, al confine con il magico e la superstizione. I culti orientali, penetrati a Roma dall'Egitto e dall'Oriente, stimolano la fantasia delle classi più o meno agiate che cercano un rifugio spirituale di fronte ai turbamenti civili e culturali.
Il Cristianesimo può essere annoverato tra gli stessi culti orientali che, con una azione silenziosa e costante nei primi secoli, e poi sempre più tumultuosa e violenta in quelli successivi, ha conquistato l'animo dei cittadini, dei funzionari e degli Imperatori dell'Urbe con un culto e una serie di pratiche religiose fino ad allora aliene al modo di sentire romano.
Questo tortuoso momento di passaggio è tra i più affascinanti della storia del pensiero, poiché è quello che plasmerà la psiche dell'uomo occidentale dei secoli a venire attraverso la narrazione di nuovi miti e di nuovi modi di vedere il mondo e il cosmo.
Carlo Pascal, latinista attivo tra la fine del 1800 e l'inizio del '900, si focalizza su questo "passaggio di consegne forzato" in una bellissima raccolta di saggi intitolata Dèi e diavoli. Saggio sul paganesimo morente.
Filo conduttore dei diversi saggi è la "transizione divina" avvenuta tra tra IV e V secolo d.C. dalle morenti divinità pagane al nuovo senso del divino cristiano; in particolare, la trasmutazione effettuata dai primi pensatori e apologeti cristiani, come Lattanzio, Agostino, Tertulliano, Gerolamo, che lungi dal limitarsi a negare l'effettiva realtà delle divinità pagane, effettuarono un'azione molto più subdola e sottile: le trasformarono da déi a demoni.
Si tratta di un'operazione senza precedenti nel mondo romano e che, come anticipato, segnerà profondamente l'inconscio collettivo dell'uomo occidentale. Fino ad allora, Roma aveva sempre mostrato una spiritualità cosmopolita e quasi "vorace"; tutto ciò che era divino, veniva inglobato all'interno del vasto pantheon Romano, che prevedeva la pacifica convivenza delle molteplici divinità non solo per ragioni di stato e di pace, ma per il principio spirituale secondo il quale ogni terra possiede i propri dèi, manifestazione, appunto, di quella terra e di quel popolo. Profanarli significherebbe inimicarsi non solo la popolazione assoggettata, ma soprattutto le forze divine che vegliano sui territori e che, in fondo, sono la manifestazione di un "Nume" spirituale più ampio. Una forza intrinseca nella natura che si rivela sotto molteplici forme in base al luogo e ai popoli, ma legata da un'unità spirituale di fondo.
Con il Cristianesimo, e in particolare con i pensatori citati in precedenza, si verifica un'operazione di rimozione totalmente nuova. Il Cristianesimo, infatti, non si limitò a perseguitare gli antichi culti dimostrandone la falsità, tutt'altro. Vi era di fondo un problema teologico molto più sottile: come mai il "Vero Dio" che noi cristiani veneriamo non si è mai manifestato, prima di oggi, al più vasto impero del mondo? Come ha potuto abbandonare una popolazione così vasta in balìa di dèi inesistenti?
La risposta dei primi apologeti è tanto geniale quanto devastante per i culti pagani. I dèi pagani esistono e, nel corso dei millenni, hanno preso sempre più forza attraverso la venerazione loro tributatagli. Ma sotto si nasconde un grande inganno; coloro che i pagani hanno sempre venerato come dèi, non sono altro che demoni. Sono falsi dèi non perché inesistenti; ma, al contrario, poiché hanno convinto gli uomini della loro divinità, quando altro non sono che demoni controllati dal demonio. Demoni giunti come sulla terra? Giunti quando, come si narra nell'Antico Testamento, Dio inviò sulla sfera terrestre alcuni angeli per vegliare sugli uomini, che tuttavia si ribellarono e si unirono alle donne dando così vita a una stirpe di giganti/demoni, che iniziarono a essere venerati come entità divine nonostante la loro natura meticcia, nata da una grande infrazione dell'ordine cosmico. Proprio nelle credenze neoplatoniche i Cristiani trovarono man forte; il concetto di daimon, infatti, inteso come essere a metà tra umano e divino, era proprio della cultura classica; ma nell'antichità il daimon, o demone, poteva essere sia positivo e benevolo sia negativo e malevolo, simile ai djin, i Geni, delle novelle orientali. Il Cristianesimo avvalorò la sua interpretazione facendo coincidere i daimon con il termine "demone" e con l'accezione esclusivamente negativa del termine, e per riferirsi alle entità intermediare tra uomo e Dio cominciò a utilizzare il termine "Angelo".
Così, per fare un esempio concreto, la gerarchia pagana rimase immutata; Giove è ancora a capo della sua schiera di dèi, ma nell'ottica Cristiana viene reinterpretato come il più potente tra i demoni a capo del suo esercito infernale.
Una fine triste e impietosa per culti remoti, in parte dovuta alla stessa crisi sociale che richiedeva nuovi paradigmi del mondo, ma di fronte alla quale non si può che provare un senso di sconforto o tristezza. Citando le parole di Carlo Pascal:
"A poco a poco l'umanità si chiude angosciosa nelle trepidanze dell'oltretomba: ov'era sorriso di arte, ov'erano ville e città fiorenti, fu squallore e deserto. E sulla rovina immensa della civiltà e dell'arte antica trionfò, grandioso e terribile, il cristianesimo: trionfò come furia che irrompe e invade, come forza che domina e vince. Ma gli dèi antichi non morirono. Distrutti i loro simulacri e i loro templi, vagarono ancora per il mondo: gli dèi della giovinezza e dell'amore, gli dèi giocondi del lavoro e della vita, divenuti ormai demoni, turbarono di terrori e di angosce l'umanità trepidante: rosseggiarono tra lingue di fuoco, urlarono sopra cime arroventate, flagellarono con ghigno feroce e tra grida selvagge i peccatori maledetti, essi, che composti a dignità maestosa e solenne avevano ispirato le concezioni più serene dell'arte antica, avevano accompagnato Roma vittoriosa su tutte le vie della civiltà e della gloria" (Carlo Pascal, Dei e diavoli. Saggio sul paganesimo morente, Edizioni PiZeta p. 90).
Carlo Pascal, Dei e diavoli. Saggio sul paganesimo morente, Edizioni PiZeta
Daniele Palmieri