domenica 8 aprile 2018

Cézanne: la magia della pittura e il sacerdozio dell'Arte

L'Arte, come la magia, è in grado di trasmutare la realtà e di svelarne gli aspetti più profondi, che si nascondono nella sua trama sottile. Gli artisti più grandi non sono quelli che dipingono fedelmente, con assoluto realismo, ciò che osservano, ma che svelano altre prospettive sulla materia, come se fossero in grado di portare alla luce l'energia spirituale che si nasconde in essa, la forza che la anima e che la colma di significato.
Paul Cézanne è stato uno dei più importanti pittori del XX secolo, poiché fu in grado di trasformare il suo pennello in una bacchetta magica in grado di trasmutare la materia sulla quale posava lo sguardo.
Tra i suoi dipinti più noti vi sono le vedute sulla montagna di Sainte-Victoire, oppure i molteplici quadri di natura morta in cui riuscì a dipingere delle mele da una vitalità inspiegabile, in una sorta di "realismo magico" pittorico.
In entrambi i casi, il soggetto è sempre lo stesso, dipinto in maniera all'apparenza maniacale: il monte Sainte-Victoire e le mele. Eppure, entrambi i soggetti rappresentati innumerevoli volte, sono sempre in grado di trasmettere qualcosa di diverso, un'energia sottile che ammalia lo spettatore, quasi le tele dei dipinti fossero dei portali sul reale aspetto della realtà, e non una sua rappresentazione. Quale fu il segreto di Cézanne? Come riuscì a infondere questa magia nelle sue tele?
E' egli stesso a svelarlo nelle sue lettere spedite ad amici e familiari, e pubblicate in Italia da SE.
Negli ultimi anni della sua vita, a inizio '900, Cézanne, artista ormai e squattrinato, si è ritirato in una piccola casa in Provenza per dedicarsi esclusivamente alla pittura, vivendo alla giornata e chiedendo, di tanto in tanto, qualche prestito ad amici e parenti. Qui inizia a intrattenere un denso epistolario con le persone a lui care, una ristretta cerchia di persone, e tra i resoconti delle sue giornate quotidiane, le richieste di prestito, le lamentele nei confronti della gente del luogo, Cézanne nasconde anche il segreto della sua arte.
Così, si scopre che il ritiro di Cézanne in Provenza è dettato da profondi motivi spirituali. Il pittore francese si è ritirato dal mondo, destinandosi a un'esistenza ai margini della società, per dedicarsi esclusivamente all'arte, ai suoi dipinti, essenza della sua vita. Scrive ad esempio a Ambroise Vollard:

“Ho fatto qualche progresso. Perché così tardi e così a fatica? Non sarà l’arte, in effetti, un sacerdozio, che richiede dei puri totalmente votati a lei?”
(Lettera a Ambroise Vollard, Aix, 9 gennaio 1903)

Solitario, rinnegato, tra i monti, le colline, i campi e la quiete della natura, Cézanne riesce a entrare in contatto con una dimensione più profonda, che trascende la semplice visione sensibile e materiale delle cose, che trasforma la realtà in un sogno dai confini indefiniti, come indefiniti sono i confini che egli tratteggia nei suoi dipinti. Come dice a Louise Auranche:  

“Mi parlate nella vostra lettera della mia realizzazione in arte. Credo di avvicinarmi ad essa ogni giorno di più, anche se con fatica. Infatti, se la sensazione forte della natura, che senza alcun dubbio io avverto in modo vivo, costituisce la base necessaria di ogni concezione artistica e su di essa riposa la grandezza e la bellezza dell’opera futura, la conoscenza dei mezzi per esprimere l’emozione non è meno essenziale, e si acquisisce solo con una lunghissima esperienza.
L’approvazione degli altri è uno stimolo di cui qualche volta sarebbe meglio diffidare. Il sentimento della propria forza rende modesti.”
 (A Louise Auranche, Aix, 25 Gennaio 1904)

Non è semplice raggiungere questo stadio di coscienza; Cézanne lo raggiunge soltanto negli ultimi anni della sua vita, dopo un'intera esistenza dedicata all'arte, con immensi sacrifici personali e con la consapevolezza che il risultato finale, definitivo, perfetto non verrà mai raggiunto, ma che saranno necessari sforzi sempre più grandi per superare se stessi, per resistere e vivere esclusivamente della propria arte. Come scrive a Emil Bernard prima, e a Roger Marx poi:

“Procedo molto lentamente, la natura mi si presenta molto complessa; e i progressi da fare sono infiniti. Si deve vedere bene il proprio modello e sentire in modo giusto; e, ancora, esprimersi con distinzione e forza.”
(A Emile Bernard, Aix, 12 Maggio 1904)
 
“L’età e la salute non mi permettono mai di realizzare il sogno d’arte che ho inseguito per tutta la vita. Ma sarò sempre riconoscente al pubblico di amatori e intelligenti che hanno avuto l’intuizione di ciò che ho voluto tentare per rinnovare la mia arte.
Secondo me non ci si sostituisce al passato, si aggiunge soltanto un anello alla catena.”
(A Roger Marx, Aix, 23 Gennaio 1905)
 
In quest'ottica si inseriscono le ripetute vedute sul monte sainte-Victoire e i dipinti di natura morta che rappresentano sempre le mele. Soltanto all'apparenza il soggetto è sempre lo stesso. Chi disimpara a vedere e impara, invece, a guardare, si accorgerà che un solo soggetto è un universo composto da molteplici prospettive, e ciascuna di queste prospettive è sempre in grado di trasmettere diverse immagini, diverse emozioni, diverse sensazioni.
Come scrive al figlio:

“Qui, in riva al fiume, i motivi si moltiplicano. Lo stesso soggetto visto da angolazioni differenti, offre una materia di studio così interessante e varia che credo potrei lavorare per mesi allo stesso soggetto inclinandomi un po’ più a destra o un po’ più a sinistra.”
(Al figlio, Aix, 8 Settembre 1906)

Similmente ai maestri Zen, che fanno ripetere incessantemente la stessa azione per insegnare al discepolo a raggiungere una cosciente concentrazione, che lo porti ad agire sempre in maniera consapevole anche quando compie un'azione apparentemente meccanica, ma che in realtà nasconde migliaia di sfumature differenti, Cézanne si esercita a cogliere le molteplici prospettive in cui gli oggetti della percezione si danno alla vista, con il variare della posizione, della luce, dell'emozione personale. In alcune lettere egli parla esplicitamente di una sorta di "punto vitale" che egli è in grado di cogliere, con la vista, nelle mele, dal quale parte per sviluppare l'intero quadro, come se le mele divenissero il centro dell'universo.
La perseveranza nei confronti dello studio incessante del medesimo soggetto lo porta a sviluppare una dimensione più profonda, una visione spirituale delle cose. Scrive a Emile Bernard:
 
“L’ostinazione con cui perseguo la realizzazione di quella parte della natura che, cadendo sotto i nostri occhi, ci dona il quadro. Ora, la tesi da sviluppare è – qualsiasi sia il nostro temperamento o la nostra energia di fronte alla natura – rendere l’immagine che vediamo, dimenticando ciò che è apparso prima di noi. Credo che questo permetta all’artista di esprimere tutta la sua personalità, o grande o piccola che sia.”
(Emile Bernard, 23 Ottobre 1905)

Nel momento in cui impariamo a trasmutare ciò che guardiamo, ecco che abbiamo compiuto un atto magico che, allo stesso modo, ha trasmutato la nostra interiorità. Il confine tra pittore e opera, tra osservatore e oggetto osservato si perde e le due realtà si fondono in un tutto inscindibile.
Con il suo silenzioso insegnamento, consegnato a semplici lettere quotidiane, Cézanne è stato in grado, molto più di altri teorici, di cogliere il segreto magico dell'arte e di tramandarlo ai posteri non solo con le sue parole, ma soprattutto con la sua vita e le sue opere. Vivere della propria arte significa vivere in una dimensione più profonda, proprio in virtù dei sacrifici che si compiono per vivere un'esistenza del genere. D'altronde, il sacrificare qualcosa significa "renderla sacra", e l'arte è ciò che rende sacra la vita degli uomini. Usando le parole di Cézanne:

“Non fate il critico d’arte, fate della pittura. La salvezza sta in questo.”
(A Emile Bernard, Aix, 25 Luglio 1904).

Cézanne, Lettere, SE

Daniele Palmieri

 
 

1 commento:

  1. L'emblema è Sgarbi:tentativo patetico di un critico che scimmiotta l'artista.

    RispondiElimina